Saranno dazi veramente molto amari, lo conferma anche l’Istat

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La possibile introduzione di nuove misure protezionistiche di politica commerciale da parte dell’amministrazione statunitense ha notevolmente accresciuto l’incertezza riguardo l’evoluzione del quadro macroeconomico globale. Già si noti che si parla di “possibile introduzione”, in quanto il presidente Usa Donald Trump ha alternato il lancio di strali sotto forma di minacce e promesse di dazi a doppia cifra contro l’intero pianeta (o quasi) a repentine marce indietro condite da parole “gentili” e proposte di trovarsi attorno a un tavolo con tanto di calumet della pace. L’impressione che si ricava non è rassicurante: l’atteggiamento schizofrenico del 45° e 47° presidente Usa genera confusione. Forse perché in piena confusione appare lo stesso Trump: senza una vera strategia e in balia delle onde di mercati azionari, obbligazionari e valutari.

Tant’è: questo scenario, già reso fragile dalle tensioni geopolitiche, aggrava i rischi di una marcata flessione economica globale derivante dal crollo degli scambi internazionali. In questo contesto di incertezza, l’Istat ha condotto un’analisi per valutare il potenziale impatto di tali misure sull’economia italiana.

Secondo la relazione sul Documento di finanza pubblica (Dfp) presentata in audizione dall’Istituto nazionale di statistica, l’eventuale perdurare dell’incertezza e un aumento delle tensioni commerciali avrebbero sulla crescita del Prodotto interno lordo italiano un impatto negativo stimato in 2 decimi di punto nel 2025 e di tre decimi nel 2026.

Per giungere a questa stima, l’Istat ha formulato alcune ipotesi chiave:

• L’indicatore del livello dell’incertezza rimarrebbe per tutto il biennio di previsione sui valori medi dei primi tre mesi del 2025.
• Il tasso di cambio dell’euro nei confronti del dollaro si apprezzerebbe, rispetto allo scenario base, del 3% nel 2025, per poi tornare alla linea di base nel 2026.
• I dazi alle importazioni negli Stati Uniti, ipotizzati per semplicità con un’aliquota del 20% per tutti i beni, si trasferirebbero completamente sul prezzo dei beni finali manifatturieri esportati (pass-through completo da parte degli esportatori italiani).
• Il commercio mondiale si ridurrebbe, rispetto allo scenario base, di circa mezzo punto percentuale nel 2025 e di un punto nel 2026.
Nello scenario base delineato nel DFP, le previsioni di crescita indicano un aumento del Pil dello 0,6% quest’anno e dello 0,8% nel 2026.

L’introduzione e la persistenza di tensioni commerciali, con conseguenti dazi, andrebbero quindi a erodere le prospettive di crescita.

L’Istat, tuttavia, sottolinea con cautela che questa è una “valutazione parziale e soggetta alla difficoltà di ipotizzare non solo l’evoluzione delle principali variabili esogene, ma anche la risposta di politica economica e commerciale da parte di governi e banche centrali”.

Per quanto riguarda il settore immobiliare, le fonti fornite non contengono informazioni specifiche sull’impatto diretto dei dazi imposti dagli Stati Uniti. L’analisi dell’Istat si concentra sull’effetto macroeconomico generale, in particolare sul Pil e sul commercio estero. È plausibile che un rallentamento della crescita economica complessiva, causato anche da tensioni commerciali e dazi, possa indirettamente influenzare il settore immobiliare, a esempio attraverso una minore fiducia dei consumatori e delle imprese e una potenziale riduzione degli investimenti, o attraverso un aumento dell’inflazione con conseguenze sul reddito disponibile ed eventualmente sul costo del denaro.

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