Si fa presto a dire smart working. Sembra una di quelle paroline magiche che, al solo pronunciarla, è in grado di trasformare in oro tutto il piombo che appesantisce e zavorra il lavoro tradizionale nell’attuale fase congiunturale. Ma la pietra filosofale, ahimè, non è stata ancora inventata.
Passare da modalità di lavoro tradizionale al lavoro smart non è un’attività banale né scontata. Affinché vi siano effetti consistenti sulla produttività e sul benessere dei lavoratori, non si tratta solo di mettere in rete i dipendenti, consentendo loro di guadagnarsi il pane in pigiama per una volta a settimana o al mese connettendosi in remoto da casa; oppure di ristrutturare gli uffici in open space, con abbondante uso di colori primari, come pare sia obbligatorio per qualsiasi start-up innovativa che voglia emulare Google.
Ciò che richiede questo passaggio è in realtà un profondo cambio di paradigma, di ritmo e di cultura.
Basti pensare alla più evidente delle conseguenze sull’amministrazione aziendale dell’adozione di modalità lavorative smart: l’unità di misura del lavoro non è più l’ora passata alla scrivania davanti a uno schermo, ma il lavoro viene misurato in base agli obiettivi che vengono fissati e raggiunti. A prescindere dal tempo. Introiettare l’idea che si debba lavorare per obiettivi implica un profondo cambiamento culturale, nell’azienda, ma anche nel lavoratore. E non è detto che tutti siano ben disposti a tale cambiamento o, più semplicemente, che sappiano come attuarlo.
L’ambiente di lavoro, in primo luogo, dev’essere smart. Deve favorire, come succede in be© di Cassina de Pecchi, la collaborazione tra lavoratori, la flessibilità, il benessere aziendale e personale, il senso di squadra. Tutti fattori che passano attraverso la condivisione di spazi e luoghi.
Lavorare smart, inoltre, comporta una maggiore padronanza di competenze digitali, un maggior grado di collaborazione a ogni livello aziendale e una più spiccata propensione al lavoro in gruppo e alla condivisione di conoscenze e informazioni per un obiettivo comune. Di pari passo devono quindi evolvere anche le modalità di gestione delle risorse umane verso nuovi modelli di selezione e formazione del personale, modificando il rapporto tra individuo e azienda, proponendo autonomia nelle modalità di lavoro a fronte del raggiungimento dei risultati e, sul fronte aziendale, garantendo servizi e benefit in grado di migliorare anche di molto la qualità della vita lavorativa.