Presunti abusi edilizi, il TAR Lombardia dà ragione al comune di MIlano

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Riceviamo da Studio Inzaghi e volentieri pubblichiamo

Con la sentenza n. 3105/2025, il TAR Lombardia – Milano (Sez. II) ha confermato la legittimità dell’istruttoria svolta dal comune di Milano in merito all’intervento di demolizione e ricostruzione con mutamento di sagoma e sedime, consistente nella realizzazione di un edificio di ventiquattro piani, presentato tramite Segnalazione Certificata di Inizio Attività alternativa al Permesso di costruire (SCIA ex art. 23 DPR 380/2001).

Il TAR, nel respingere il ricorso presentato dal proprietario di un immobile adiacente, ha confermato la correttezza dell’impostazione seguita dal Comune, da cui emerge che:

• per determinare la consistenza volumetrica di un fabbricato è legittimo fare ricorso all’asseverazione giurata nei casi in cui gli atti edilizi o di fabbrica non siano disponibili;
• la dialettica tra proponente e commissione per il Paesaggio è parte fisiologica del procedimento e può condurre al superamento di un primo parere negativo attraverso opportune modifiche progettuali;
• le norme morfologiche del PGT possono essere derogate, purché ciò avvenga in ragione del parere favorevole della Commissione per il Paesaggio e del conseguente atto d’obbligo del proponente a rispettarlo;
• il parere della commissione per il Paesaggio costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile in sede giudiziale solo per evidenti vizi di illogicità o travisamento dei fatti.

Commento</h3
La sentenza non ha ad oggetto diretto la legittimità in astratto della SCIA alternativa al permesso di costruire, bensì l’impugnazione, da parte di un soggetto terzo, della nota con cui il Comune di Milano aveva riscontrato un’istanza di verifica ex art. 19, comma 6-ter, L. 241/1990, relativa a una SCIA alternativa per demolizione e ricostruzione.

Il giudizio, dunque, non verteva sulla qualificazione urbanistico-edilizia dell’intervento, ma sulla legittimità del riscontro comunale. Ne deriva che la pronuncia non poteva — e non voleva — enunciare un principio astratto sulla tipologia di titolo abilitativo, ma ciò non significa che il TAR ne abbia escluso la legittimità.

Nello specifico, nella sentenza (pag. 4) è riportato quanto la ricorrente ha contestato al Comune: “se si tratta di “nuova edificazione”, non risulta senz’altro rispettato l’indice edificatorio di legge; viceversa, se si tratta di “ristrutturazione fuori sagoma”, non risulta senz’altro rispettata la volumetria esistente, in quanto si va a recuperare un fabbricato di soli tre piani da trasformare in un grattacielo di almeno ventuno piani”.

Il Comune ha risposto a questa contestazione (pag. 4 e pag. 7) comunicando che “trattasi di intervento di ristrutturazione edilizia ai sensi degli artt. 3, comma 1, lett. d), e 10, comma 1, lett. c), del D.P.R. 380/2001, comportante demolizione e ricostruzione con mutamento di sagoma e sedime” e, per questo motivo, “La
consistenza edilizia del progetto risulta dalla riproposizione della consistenza dello stato di fatto, ma con nuova modulazione dei volumi architettonici”.

La motivazione addotta dal comune non è censurata né smentita dal TAR, che la riporta come dato legittimo e la considera base istruttoria sufficiente del provvedimento impugnato. In particolare:

• il TAR non dichiara illegittima né in alcun modo smentisce la qualificazione dell’intervento come ristrutturazione edilizia operata dal comune;
• partendo dall’assunto che nel caso in esame si sia in presenza di tale tipologia di intervento, la volumetria realizzata è quella dello stato di fatto, calcolata sulla base delle disposizioni normative vigenti;
• la sentenza, quindi, riconosce implicitamente la validità nel contesto procedimentale esaminato, inclusa la qualifica dell’intervento.

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