lunedì, Maggio 6, 2024

Europee 2019, comunque andrà a finire saranno problemi

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Questo fine settimana e i primi giorni di quella prossima saranno concentrati sulle elezioni europee. Si discuterà dei risultati usciti dalle urne. Si tracceranno bilanci e si sentiranno commenti. Si avanzeranno ipotesi e previsioni. Si azzarderanno narrazioni sui destini del governo in carica e su quello dei partiti che ne compongono la maggioranza a sostegno. Non mancheranno complicarti calcoli di garbugli parlamentari e formule esoteriche che potrebbero garantire numeri necessari per la fiducia a una compagine governativa diversa. Tutto made in e for Italy.

A naso, infatti, non sembra esserci elettore che abbia capito quali siano le diverse proposte per l’Europa tra i candidati in lizza. Ciò che è passato è stato qualche slogan che andrebbe riempito di contenuti. Mentre sull’unica proposta che ha lasciato traccia, quella del salario minimo europeo, avanzata con una gara al rialzo di promesse irrealizzabili tra Movimento 5Stelle e Pd, è meglio stendere un velo pietoso*.

La campagna elettorale, in effetti, è stata molto concentrata sull’interno e poco sull’Europa. Ma difficilmente soluzioni magiche ai problemi di crescita, di produttività e di bilancio pubblico dell’Italia potranno uscire dalle urne. La rivoluzione parlamentare che dovrebbe squassare gli equilibri nell’aula di Strasburgo e scardinare sin dalle basi la struttura dell’Unione non è alle viste. Secondo gli ultimi sondaggi a livello europeo, i gruppi emergenti di sovranisti, più populisti, più estrema destra (tipo Afd o Front National), più gli antieuropeisti di varia provenienza, più la sinistra estrema dei Mélenchon et similia dovrebbero attestarsi tra il 24 e il 30% delle preferenze. A essere generosi. E comunque non basta.

A parte una generale avversione verso l’immigrazione, inoltre, sono veramente pochi i punti in comune tra i diversi componenti di questa eterogenea “sospensione”. Il premier ungherese, Viktor Orbán, considerato alleato di ferro della Lega di Matteo Salvini, ma in realtà appartenente al gruppo dei popolari europei, ha detto esplicitamente che non potranno essere tollerati sforamenti sulle regole del fiscal compact. Sulla stessa lunghezza d’onda il Forum voor Democratie, il partito populista olandese. Nel mentre, molti altri appartenenti al club preferiscono non parlarne direttamente con i prossimi vicini di seggio, ma fanno trapelare messaggi più o meno espliciti, a uso del proprio elettorato, che in sostanza dicono: “Se qualche Paese vuole spendere di più si paghi la spesa”. Come? Dal poco comprensibile brusio di risposte in lingue diverse sembra emergere un’unica parola chiara, che suona tipo “patrimoniale…”.

Constatato che non ci sono bacchette magiche a disposizione è meglio mettersi subito a fare i conti con la realtà, prima di sbattergli addosso. Anche perché il primo muro sulla strada del Paese è molto più vicino della prossima finanziaria e del disinnesco delle clausole di salvaguardia.

A inizio giugno, verosimilmente per la prima settimana, dovrebbe giungere al Governo italiano una lettera da Bruxelles, mittente la Commissione europea. Oggetto della lettera sarà la minaccia di apertura della procedura d’infrazione per debito eccessivo, relativamente al mancato rispetto del sentiero di riduzione stabilito (e quindi a causa di un rapporto deficit/Pil eccessivo). La prima minaccia, partita in occasione della presentazione dell’ultimo Def, fu sospesa a seguito dei miti consigli cui addivenne il Governo, riducendo il target deficit/Pil dal 2,4 al 2,04%.

Purtroppo le previsioni, soprattutto sul lato denominatore (leggi Pil) si sono rivelate errate. E in pratica siamo tornati al punto di partenza, se non un po’ più indietro. Non è difficile prevedere quindi che la Commissione richieda una correzione al governo. Esperti ed economisti stimano che la manovra correttiva necessaria dovrebbe aggirarsi tra i 7 e gli 8 miliardi di euro. Pena l’avvio dell’infrazione.

Dove trovarli? Vedremo che idee si farà venire il governo, che non è detto sarà molto lucido e stabile. Ma contando che nel 2015 il gettito da Imu e Tasi sulla prima casa era di 4,2 miliardi, contando la grande diffusione della proprietà immobiliare del Paese e che un bene immobile, in quanto tale, è difficile da occultare all’estero, non stupirebbe se a qualcuno venisse idea di coprire almeno metà della manovra correttiva colpendo la casa.

*Qualche lettore ha fatto notare che sarebbe meglio svelarlo quel velo. Il salario dei diversi Paesi che compongono l’Ue dipende da numerosi fattori, in parte locali: economici, produttivi, fiscali, e anche politici. 22 dei 28 Paesi membri (compresa l’Uk anche se non si sa ancora per quanto) prevedono un salario minimo determinato per legge e frutto, per lo più, di un processo di mediazione tra le parti sociali sulla base delle condizioni esistenti in ciascun Paese. In soldoni si va dai 260 euro della Bulgaria a 1.998,6 del Lussemburgo. Passando poi per altre 20 modulazioni diverse. Tralasciando che, dal puto di vista economico, un salario minimo unico non avrebbe senso; lontani dalle urne, c’è davvero qualcuno che si offre come mediatore per trovare una quadra tra tutte queste differenti esigenze e situazioni? E davvero pensa di riuscirci?

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