Dire moda, in Italia, significa parlare di un business da 113 miliardi. L’ultimo studio della Camera di Commercio di Milano sul tema conferma la forza di questo settore nell’economia del paese. Settore che vede Milano protagonista indiscussa, prima per fatturato tra le città italiane e passerella tra le più importanti al mondo. Qualcuno potrà però rimanere sorpreso da un altro dato: la città col numero maggiore di imprese – 21.000 – legate a vario titolo al settore moda, è Napoli.
Si tratta di un dato che ha importanti conseguenze e ricadute sullo sviluppo del territorio e sulla sua promozione. Anche, se non soprattutto, dal punto di vista urbanistico.
In questo numero così elevato di imprese in vario modo insediate nel territorio napoletano sono comprese firme note, quali Yamamay, Harmont & Blaine, Barba, Original Marines, per citarne solo alcune. Ma sono presenti anche piccolissime, piccole e medie imprese, a vocazione artigianale, che costituiscono e plasmano il tessuto economico e urbano nell’area cittadina, alcune delle quali rappresentano straordinarie storie di eccellenza, storie di talenti tramandati da generazioni, storie legate indissolubilmente ai luoghi.
Parliamo dell’alta sartoria maschile, che potremmo definire un vero e proprio caso, una realtà che ha origini antichissime e che ha dato vita a uno stile unico e riconosciuto, lo stile napoletano. Già nel 1351, quando nella chiesa di Sant’Eligio al Mercato nasce la Confraternita dei Sartori, Napoli, capitale del Regno delle due Sicilie, è un riferimento autorevole per la moda. Arriviamo nell’Ottocento e i sarti napoletani vestono la nobiltà europea e decidono stili e tendenze. Nel Novecento alcune botteghe ampliano la propria attività, creando delle vere e proprie industrie, che non rinunciano alla altissima qualità, restando innovative nello stile, che man mano acquista un’identità definita, caratterizzandosi per il maggiore comfort dei capi realizzati, che consentono movimenti sciolti e sono più facili da indossare rispetto ai più rigidi abiti inglesi.
Siamo nel ventunesimo secolo e gli abiti da uomo fatti a mano, realizzati dai sarti napoletani, sono oggetto di veri e propri pellegrinaggi da parte di persone provenienti da tutto il mondo e si contendono il primato, a livello mondiale, con quelli prodotti dai sarti di Londra.
Nel gennaio 2015, il Financial Times ha pubblicato un articolo relativo alle importanti firme della sartoria maschile napoletana, sottolineando il contrasto tra questo settore di eccellenza e l’immagine invece più diffusa della città, quella di decadenza e di abbandono (Rachel Sanderson, 2015).
Queste piccole grandi imprese sono state anche l’oggetto di una ricerca realizzata da Francesco Izzo, professore ordinario di Strategie d’impresa presso il dipartimento di Economia della Seconda Università di Napoli. La ricerca si intitola “La città dei sarti”, ed è stata presentata lo scorso anno a Torino a un convegno sul tema il marketing al servizio della città. Lo studio esplora un aspetto finora poco indagato dagli economisti e cioè la relazione che lega tali imprese con la cultura materiale, con l’identità territoriale, con la narrazione della città. Ed afferma che, se le imprese più piccole, rimaste a livello artigianale, incarnano in modo inconsapevole il loro legame con il territorio, le imprese che sono riuscite a fare il salto di qualità ed a piazzarsi nel mercato internazionale, tra l’altro in una posizione di spicco, a questo legame con il territorio attingono in continuazione per la promozione della propria azienda. La città diventa dunque protagonista della comunicazione, con “l’adozione consapevole dell’identità territoriale come strumento nelle strategie di marketing internazionale”.
“Sotto il vestito una città”, si legge nello studio di Izzo e non solo perché la città fa da scenario ad un vero e proprio distretto creativo, ma anche perché è detentrice della cultura materiale legata a quella produzione; la città è il luogo in cui hanno origine storie e miti che si narrano in tutto il mondo, la città è meta di culto per i pellegrini che compiono un lungo viaggio per indossare un abito fatto a mano da un sarto napoletano.
Questa simbiosi tra produzione e identità territoriale non riguarda solo la realtà dell’alta sartoria napoletana: ogni produzione legata a un processo creativo attinge, in modo più o meno consapevole, alla cultura di cui è permeata ed in modo più o meno consapevole la comunica. Dall’abito made in Naples all’oggetto made in Italy, la cultura, la storia, la tradizione sono il valore aggiunto che rende questi prodotti carichi di fascino agli occhi del mondo intero.
Il nostro territorio, il nostro patrimonio culturale rappresentano una risorsa potente che ha effetti ben più estesi di quelli che siamo abituati a individuare. Valorizzare tutto questo, prendersi cura del territorio, custodirne la storia favorendo l’innovazione, sono azioni che possono inserirsi con successo in un processo virtuoso di iniziative e scelte che favoriscono la crescita sociale ed economica.
di Lia Chiaiese – Archielle – Napoli