Sino a una quindicina abbondante di anni fa, se si fosse domandato a qualsiasi manager cosa è la Csr la risposta più probabile sarebbe stata: “No guarda! C’ho l’Abs, il servosterzo e l’Anti-skating. Quello lì non mi pare, ma poi controllo sul libretto”. Oggi, invece, l’attenzione dei clienti è ormai altissima per i temi di responsabilità sociale d’impresa e le aziende lo sanno bene: non c’è business senza etica e creazione di valore condiviso.
La Csr (sigla che sta per Corporate social responsability o, in italiano, Responsabilità sociale d’impresa) è più importante che mai. Tanto che accanto ai Ceo, che attraverso numerose iniziative congiunte, sono i portabandiera del nuovo paradigma del business, stanno nascendo nuovi mestieri, a livello manageriale, che hanno per oggetto questa nuova disciplina. Numerose grandi società, quali Snam ed Enel, o colossi assicurativi come Generali, gareggiano fra loro per accaparrarsi i posti più alti nelle classifiche che sottendono a vari indici etici o di responsabilità sociale.
Alla base di tale slancio ci sono certamente motivi etici e filantropici; ma non va dimenticato che, statisticamente, quelle società che soddisfano i parametri di CSR entrando nei relativi indici godono di migliori condizioni economiche – in termini di veri e propri risultati di bilancio – e di quotazioni borsistiche mediamente più brillanti rispetto ai comparables non altrettanto attenti ai temi sociali.
Ciò che infatti è sempre più confermato dai dati – non è un caso che i Ceo delle maggiori società abbiano firmato un accordo d’intenti tutto rivolto al principio secondo cui senza bene comune non si possa fare impresa – è che valore sociale e valore economico vanno sempre più a braccetto.
Il concetto di Csr si fa risalire al 1953 e a un libro dell’economista americano Howard R. Bowen, intitolato Social Responsibility of Businessman, in cui ci si chiede quali responsabilità verso la società sia lecito aspettarsi da chi dirige un’impresa. Le definizioni di Csr nel corso degli anni si sono moltiplicate. Secondo la definizione ufficiale della Comunità Europea del 2001, questa consiste “nell’integrazione, su base volontaria da parte delle imprese, di preoccupazioni e motivazioni sociali e ambientali nelle loro operazioni commerciali e nei loro rapporti con le parti interessate”.
L’obiettivo della Csr è quello di portare le società a impegnarsi a restituire alla società parte del valore che si ricava dal business.
Uno dei presupposti fondamentali, di cui a volte alcune definizioni troppo semplicistiche o parziali è che il principio della Csr non contraddice i principi economici dell’economia. Un’impresa che non produce redditi, o peggio ancora che non sta in piedi, non è un’impresa socialmente responsabile, semplicemente perché non ha un surplus da restituire al territorio e ai vari stakeholder.
Sul fronte opposto, il concetto di Csr non è sovrapponibile a quelli di volontariato aziendale o a qualche forma di filantropia, personale o aziendale che sia, ma è un concetto molto più ampio. Esso coinvolge ogni aspetto della vita aziendale, anche il clima lavorativo, il benessere aziendale, la parità di genere e la diversity, tanto per citare alcuni dei temi di maggiore attualità; ciò che accade in azienda, ma anche fuori dall’azienda, con una prospetti- va che va oltre il breve termine proiettando l’impresa avanti nel futuro e riflettendo sul futuro, e che guarda alle generazioni coe- ve, ma anche a quelle future.
In un mercato globale il concetto di stakeholder è anch’esso di portata mondiale, e non c’è ambito d’impresa oggi che non debba curare la propria reputazione agli occhi dei cittadini. Soprattutto se i cittadini diventano sempre più consapevoli e sensibili al tema della sostenibilità, economica e ambientale, anche nelle proprie scelte di consumo.