Quaranta anni fa, il 31 gennaio 1977, veniva inaugurato a Parigi il Centre Pompidou, conosciuto anche come Beaubourg, uno dei luoghi più visitati della città, uno spazio che ha rivoluzionato il concetto di museo e suggerito nuove modalità al linguaggio dell’architettura, riuscendo ad interpretare le esigenze culturali dell’epoca.
Il progetto fu indubbiamente uno dei più odiati e contrastati della storia dell’architettura moderna. Fu voluto fortemente dal neo eletto presidente della Repubblica Georges Pompidou, nell’intento di rilanciare la cultura contemporanea francese. Egli volle promuovere la costruzione di un edificio che fosse al tempo stesso Museo di Arte Contemporanea, Biblioteca Pubblica, Centro per la Musica, Centro di Design. L’amministrazione parigina indisse quindi un concorso di architettura che presentava una novità significativa: era la prima volta che un concorso di questo tipo, in Francia, era aperto anche a concorrenti stranieri.
Il bando invitava esplicitamente a fuoriuscire dai confini tipici del concetto di museo o di biblioteca, per cui le proposte (i progetti da esaminare furono ben 681) furono molto varie. Ma un solo progetto, innovativo fino in fondo, utilizzò soltanto metà della superficie resa disponibile dal bando, lasciandone una parte libera per una piazza esterna. Era il progetto di due architetti giovani, sconosciuti e per di più stranieri: Richard Rogers, inglese e Renzo Piano, italiano; e fu il progetto che si aggiudicò il concorso.
Il progetto di Piano e Rogers, fin dall’inizio, suscitò violente polemiche, esattamente come era accaduto per la Torre Eiffel un secolo prima. E se la Torre Eiffel era astata accusata di essere un ammasso sgradevole di ferro dagli intellettuali dell’epoca, il Centre Pompidou non fu da meno; d’altro canto, ad osservarlo adesso con gli occhi di allora, bisogna ammettere che l’edificio non si interessa assolutamente di dialogare con gli edifici che lo circondano, anzi, è totalmente in contrasto con il tessuto intorno ad esso. Il Beaubourg si presenta come un insieme di metalli colorati e tubi trasparenti. E’ un edificio che porta in facciata tutto: scale, ascensori, struttura, tubi di areazione, condotte degli impianti.
E’ stato definito una macchina, un edificio industriale, un’esaltazione della tecnologia. Eppure, nelle definizioni di Renzo Piano, non era altro che un villaggio medievale per venticinquemila persone, che è il numero dei visitatori giornalieri del centro: un villaggio medievale che si sviluppa però in altezza, come una sorta di avvicendarsi di piazze in verticale.
Questa dunque la definizione di Renzo Piano, che, nella descrizione dell’opera, parla anche dello spazio esterno, della sua importanza, non soltanto come elemento vincente del progetto, ma anche come luogo in cui si manifesta la cultura di tipo informale, quasi in contrasto con quello che avviene all’interno dell’edificio.
Ma soprattutto, Renzo Piano, riferendosi al Beaubourg, sostiene che è un progetto che gli ha consentito la scoperta dell’avventura. “Un architetto fa il mestiere più bello del mondo. Perché in un piccolo pianeta dove Colombo, Magellano, James Cook, Amudsen hanno già scoperto tutto, progettare diventa una delle più grandi avventure possibili.
di Lia Chiaiese – Archielle