Secondo le analisi del World Urbanization Prospects 2018 delle Nazioni Unite nel 1930 solo il 30% della popolazione mondiale viveva in aree urbane, mentre oggi più della metà della popolazione nel mondo, circa il 55%, risiede in metropoli. Si stima che nel 2050 quasi il 70% della popolazione mondiale vivrà in aree urbane, un dato interessante se si considera che su una popolazione totale stimata di 8,1 miliardi, gli abitanti delle città saranno circa 5 miliardi. Di questi, 2 miliardi vivranno nelle bidonville e negli slum delle maggiori città.
Un trend in rapida crescita dunque, quello dell’urbanizzazione, che comporta la necessità di rivedere il modo in cui si definiscono le linee guida di design e costruzione di nuovi spazi, in cui bisogna tenere conto di quelle che sono le esigenze di sostenibilità di una città e avere una chiara e integrata visione strategica.
Gli spazi in cui viviamo, l’ambiente, la città e i quartieri influenzano più o meno direttamente i nostri comportamenti, incidono sulla nostra salute, sul nostro accesso alla cultura e determinano le nostre relazioni sociali. Le scelte architettoniche plasmano gli aspetti di coesione e integrazione sociale, in particolare nelle grandi città dove spesso si vengono a costituire zone tra loro scollegate, con complesse frontiere interne e con ripercussioni anche sugli aspetti di criminalità e comportamenti devianti. In molte megacittà esistono vere e proprie No-go-areas: frammenti di città tra loro non connessi, in cui l’urbano non forma un’immagine unitaria e che sono caratterizzati dall’insicurezza e dalla mancanza di una dimensione pubblica praticabile2.
Proprio per questo motivo l’attività di disegno e progettazione degli spazi per i city makers diventa una vera e propria responsabilità sociale in quanto diventano “architetti delle scelte” della popolazione influenzando attraverso la costruzione di città, appartamenti, quartieri e spazi sociali, le nostre scelte e molti aspetti della nostra vita.
Progettare una città deve declinarsi dunque come un percorso che mira a valorizzare la nascita di un luogo che si posiziona all’interno del contesto che lo circonda, per permettere la contaminazione e il dialogo tra la parte edificata della città e il modo in cui la gente abita. Come spiega Robert Park nel saggio The City, la città non è solo un meccanismo fisico o una costruzione artificiale. Essa è coinvolta nei processi vitali delle persone che la compongono; è un prodotto della natura, ed in particolare della natura umana.
E proprio come prodotto della natura umana, la città deve essere disegnata e costruita in ottica sempre più sostenibile e resiliente, capace di comprendere le diverse esigenze che la abitano, rispondendo agli obiettivi fissati dalle Nazioni Unite con l’Agenda 2030 e i relativi Sustainable Development Goals, tra cui in particolare il Goal 11 volto a rendere le comunità sostenibili, favorendo progetti, azioni e politiche di rigenerazione urbana che possano rispondere alle tematiche di sovraffolamento, valorizzazione degli aspetti di sostenibilità, di spazi verdi, di attività culturali e molto altro.
Un cammino complesso
Nel corso della storia sono stati numerosi i contributi per perseguire l’obiettivo di costruire una città ideale, un concetto nato già con Platone nell’antica Grecia e sviluppato ancora di più nel Rinascimento, fino ai giorni d’oggi.
Il 900’ in particolare, a causa dell’avvento sfrenato dell’urbanizzazione del suolo, dell’enorme aumento di popolazione urbana e delle conseguenze scaturite, è stato teatro di alcuni esperimenti concettuali, come la Città Futurista di Sant’Elia o il Plan Voisin di Le Corbusier, ma anche pratici, come la città Arcosanti di Paolo Soleri.
Sempre nel secolo scorso, sono stati effettuati i primi grandi interventi sulla fisionomia di alcune grandi città. Primo fra tutti, ricordiamo l’Unité d’Habitation di Le Corbusier, un complesso progetto urbanistico, massima espressione della corrente razionalista del dopoguerra, sviluppato in quattro città della Francia – Marsiglia, Nantes, Briey e Firminy – e in una città in Germania, a Berlino Ovest. Questi progetti, nati dalla nobile idea di dare a tutti un alloggio dignitoso, si sono rivelati, di fatto, delle iniziative di apartheid territoriale e sociale, rappresentando il fallimento dell’utopia razionalista.
E ancora, negli Usa, a Detroit, troviamo un caso analogo di architettura progettata con un approccio top-down, che ha avuto forti conseguenze negative. Infatti, a Detroit, il boom del settore automobilistico degli anni ‘70, aveva portato a un forte aumento della popolazione impegnata nell’industria, determinando un’ampia domanda di alloggi. La soluzione adottata fu quella di sviluppare un modello di quartieri composti da grattacieli e autostrade per facilitare lo spostamento di quella ingente massa di operai. Alla fine degli anni ’80, però, in piena crisi del settore, le industrie dovettero chiudere lasciando gli edifici vuoti così come la città, che iniziò a spopolarsi rapidamente. Fu necessario dunque abbattere i grattacieli, attivando una vera e propria decostruzione di Detroit la quale oggi conta ampie zone inutilizzate e difficili da controllare che spesso diventano luogo di delinquenza locale.
Nei vari esempi, l’errore è stato quello di imporre progetti di densificazione del tessuto urbano, senza tenere di conto delle reali esigenze degli individui e senza preoccuparsi dello sviluppo sostenibile del territorio.
Innovazione Sociale per la rigenerazione urbana
In seguito a questi fallimenti urbanistici, economici e sociali, sono nate nel tempo nuove correnti di pensiero e nuove metodologie per i city makers: dal movimento del New Urbanism alle ricerche legate all’ Environmental Design – in cui si è cercato di comprendere come le persone vivono gli edifici, le strade ed i quartieri della città – per sviluppare un tipo di progettazione in grado di superare la rigidità di semplici criteri architettonici.
Oggi, alla luce dei tassi di urbanizzazione in crescita e alla necessità di costruire spazi sostenibili e sempre più inclusivi, per il settore real estate e per tutti gli attori coinvolti nel design urbano, diventa ancora più importante ripensare il modo in cui si configurano i quartieri e le città. L’esigenza è quella di progettare un concept che possa generare un’identità e non essere mero spazio, divenendo un vero e proprio luogo con esternalità positive sulla comunità, attraverso progettualità di Innovazione Sociale, rigenerazione e riqualificazione urbana.
Le pratiche di innovazione sociale prevedono una comprensione profonda dei nuovi bisogni emergenti della società e degli individui e si basa su molteplici dimensioni della sostenibilità: quella economica, sociale, culturale e ambientale. Tale innovazione supera anche concetti di innovazione obsoleti legati esclusivamente alla componente tecnologica, come quello della Smart city. L’obiettivo è quello di avere un impatto sociale positivo su una comunità di riferimento, col fine ultimo di migliorare la qualità della vita degli individui. Per questo motivo è necessario che l’innovazione sociale diventi il motore principale dello sviluppo immobiliare, sostituendosi ai classici driver economici che fino ad oggi hanno guidato il settore del real estate.
Tale approccio è in linea con i SDGs delle Nazioni Unite che fissano nell’Agenda 2030 gli obiettivi di rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili aumentando l’urbanizzazione inclusiva e sostenibile e la capacità di pianificazione e gestione partecipata dell’insediamento umano in tutti i paesi. In Europa tra le nazioni più attive in termini di politiche di rigenerazione urbana e ambientale si segnalano la Germania, la Svezia, la Finlandia e l’Olanda, che per prime hanno avviato politiche e programmi come gli Eco-quartieri, che rappresentano casi di best practices europei. Si segnalano il progetto GWL-terrain ad Amsterdam, caso importante di trasformazione e riqualificazione di un’area dismessa, il Quartiere Ekoviikki ad Helsinki, esempio di trasformazione da quartiere periferico a comunità sostenibile, e il progetto Kronsberg in Germania ad Hannover, progettato tenendo conto del tema dell’Expo 2000: Umanità, Natura, Tecnologia.
L’Italia e le opportunità di rigenerazione e riqualificazione
Il Rapporto ASviS 2019 evidenzia come in Italia, nonostante l’andamento positivo degli ultimi tre anni, la situazione relativa al SDG 11 (Città e Comunità Sostenibili) denota ancora risultati negativi rispetto a quella del 2010, con un netto divario Nord-Sud.
L’Italia ha ancora tanto su cui lavorare per raggiungere l’obiettivo di rendere le città un luogo ideale dove vivere per tutti, ma la spinta positiva degli ultimi anni può rappresentare un forte slancio per il cambiamento. Infatti, l’indicatore di misurazione relativo al Goal 11 elaborato da ASviS evidenzia alcuni fattori principali del trend positivo tra cui la diminuzione della quota di rifiuti urbani conferiti in discarica e il calo nella concentrazione di inquinanti atmosferici nelle aree urbane.
Secondo il Rapporto IV CERIIS Modelli ed Esperienze di Innovazione Sociale in Italia, l’ambito in crescita rispetto agli anni precedenti è quello della riqualificazione urbana e rivitalizzazione delle periferie, che ha come obiettivo quello di aumentare la qualità della vita urbana e delle relazioni comunitarie. La cultura è uno dei driver fondamentali per lo sviluppo di fenomeni di rigenerazione urbana, seppur in Italia sia ancora poco valorizzato e scarsamente percepito come enabler di successo. Secondo il Censis siamo un paese dal capitale inagito proprio perché l’Italia riesce solo in minima parte ad abilitare un patrimonio culturale e creativo di cui dispone, che ammonta a circa 330 miliardi di euro, stima del valore degli spazi pubblici.
Se da un lato dunque la rigenerazione e riqualificazione urbana risultano una grande opportunità per l’Italia anche se non ancora pienamente massimizzata, dall’altro emergono positivamente nuovi ambiti di applicazione dell’innovazione sociale, in particolare rispetto ai temi di integrazione sociale, miglioramento ambientale, assistenza sociale e formazione che rappresentano il 55% del totale del campione analizzato dal Rapporto CERIIS, così composto: 17%, 15%, 13% e 10%.
Il paradigma dell’Open Innovation applicato al design delle città
La sfida che emerge da questo contesto è quella di creare “unicità” di iniziative tipiche del luogo in cui i progetti si inseriscono attraverso una metodologia di Open Innovation che si basa sui concetti di collaborazione e co-design con l’obiettivo di creare uno spirito di comunità condiviso e positivo. Per rispondere a tale sfida, come prima cosa, è necessario indagare su quali siano le reali necessità ed esigenze degli individui. Di conseguenza, è necessario attivare metodologie di ricerca sociale, economica ed etnografica, anche interrogando la comunità di riferimento, tramite l’utilizzo di piattaforme collaborative per individuare priorità e azioni significative da intraprendere.
Secondo il Rapporto CERIIS il 58% del campione analizzato è caratterizzato da un tipo di innovazione relazionale che valorizza una spiccata dimensione collettiva per lo scambio di informazioni e know-how volta alla costruzione di progettualità di innovazione sociale di valore per il territorio e le comunità di riferimento.
L’obiettivo di un approccio aperto è quello di creare un ecosistema per individuare potenziali collaborazioni e opportunità di partnership strategiche volte allo scambio e alla valorizzazione di competenze, asset e need degli attori coinvolti. Un ecosistema di questo tipo permette alle imprese di Real Estate di valorizzare le loro capacità innovatrici, di accedere a nuove e diverse risorse e di incentivare la creazione di relazioni e collaborazioni tra attori diversi al fine di condividere conoscenze e attività. Inoltre, è necessario che lo sviluppo immobiliare preveda la valorizzazione del ruolo della comunità, intesa non solo come beneficiario, ma anche, e soprattutto, come attore che partecipa al disegno delle soluzioni innovative.
In Italia ci sono alcuni primi segnali che dimostrano il crescente interesse nei confronti di progetti ed idee di innovazione sociale valorizzate da progetti e approcci di innovazione Open. Si pensi infatti che, secondo il report del Social Innovation Monitor, il 50% degli Incubatori italiani dichiara di supportare startup a impatto sociale ed in particolare il primato va alla Lombardia con il 60% delle strutture presenti in Italia.
Il grande vantaggio di questo modello di sviluppo e co-disegno si sostanzia nella potenzialità di diversificare e arricchire le risposte ai bisogni sociali e offre l’opportunità di creare soluzioni innovative inaspettate, indipendenti dalle tradizionali scelte speculative di natura puramente immobiliare o razionalistiche di natura normativa, ma anzi capaci di anticipare e superare la normativa stessa. Il risultato del coinvolgimento di diversi e nuovi attori è la generazione di nuova conoscenza come bene comune, la quale mette in discussione i tradizionali modelli di sviluppo immobiliare.
Quale possibile strategia: un nuovo framework di innovazione sociale
Tale approccio collaborativo sottrae i designer della città e degli spazi, dal rischio di progettare soluzioni che non trovano riscontro nella quotidianità degli individui e che spesso si concludono o come meri esperimenti concettuali. Per tale motivo, è importante ripercorrere l’endiadi francese ripresa da Sennett per descrivere i due poli che compongono una città: la ville e la citè. La ville rappresenta la città costruita, la parte fisica, mentre la cité, la città abitata, il tessuto di relazioni sociali. Per usare le sue parole “da una parte sta il terreno edificato, dall’altra il modo in cui la gente abita e vive”. E’ impossibile comprendere l’aspetto fisico di una città o un quartiere senza considerare il tessuto sociale che vi abita. Per questo motivo la ville deve svilupparsi sulla citè, e non viceversa. In tal senso, è appropriato parlare di Social Design Re-Description, secondo un’impostazione il cui obiettivo è quello di definire uno spazio dove gli individui possano creare un linguaggio comune su cui fondare le relazioni personali e sociali.
In questo contesto i progetti di rigenerazione urbana e innovazione sociale intercettano i bisogni e le difficoltà dei diversi attori sociali e co-disegnano soluzioni innovative e tecnologiche affinché i cittadini abbiano una migliore qualità della vita e tornino a vivere positivamente la città e i quartieri. Al fine di favorire questa metodologia di co-disegno è importante favorire approcci di collaboration, per mettere al centro le singole persone che abilitano e allo stesso tempo usufruiscono degli elementi positivi creati dall’impatto della rigenerazione urbana.
In quest’ottica Impreme, in collaborazione con PwC New Ventures, sta sviluppando a Roma l’iniziativa immobiliare Albero dei Navigatori, la quale ha lo scopo di ri-descrivere in senso evolutivo la fisionomia sociale della borgata Tor Marancia. Il progetto si configura come primo intervento di architettura urbana a Roma legato a una strategia di comunità e innovazione sociale e sottolinea la relazione tra la vocazione storico/naturale dell’area e un urbanesimo compatibile, su cui definire valori comunitari legati alla sostenibilità e alla collaborazione.
Il progetto ha l’obiettivo di lanciare inizialmente tre prototipi di innovazione riguardanti tre diversi ambiti: food, industria culturale e creativa e sostenibilità e verde produttivo, per offrire un nuovo design degli spazi che si rivolge a tutto l’ecosistema di riferimento.
Il lavoro congiunto di PwC New Ventures e Impreme ha portato alla definizione di un nuovo approccio di collaborazione e co-disegno che ha come risultato la creazione di un framework di Innovazione Sociale. In questo senso, spazio, ambiente e comunità si concretizzano in realtà ecosistemiche tra loro connesse che si alimentano vicendevolmente in termini di valori positivi, creando un linguaggio comune dove relazioni sociali, trend tecnologici, principi etici e sostenibili diventano i pilastri di un nuovo modello per il settore real estate e per tutti i city makers del domani.
di Domenico Agnello, associate partner PwC e innovation ecosystem lead per new ventures