Anonimo: “Vivere e lavorare a Milano è terribile”

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“Ciao Giacomo, navigando su LinkedIn ho trovato un’intervista del tuo blog “I giovani e la casa” e ho pensato di scriverti per raccontarti la mia storia. Che dici, si può fare? Adesso ti spiego. Trovo il tuo spazio nel giornale molto interessante e ricco di storie, ma penso anche che tu possa far sentire di più la tua voce raccontando dall’interno e con più cattiveria il mondo della casa e del lavoro, soprattutto in riferimento a realtà come Milano o altre città del Nord. Il mio potrebbe essere un buon caso. Mi chiamo xxyyzz e vivo a Milano, anche se sono nato e cresciuto a xxyyzz in Piemonte. Mi sono trasferito a Milano per l’Università, dove ho buttato soldi e anni preziosi della mia vita, e adesso ho 29 anni e lavoro in un’azienda di xxyyzz. Me ne sono successe di tutti i colori, soprattutto a lavoro, anche se al di là di tutto mi reputo fortunato. Sono passato dall’essere stagista a direttore clienti in un giorno solo a causa di calo di personale e disorganizzazione aziendale ai massimi livelli. E oggi, per tenere in piedi l’azienda, lavoro circa 10/12 ore al giorno, spesso anche il sabato e la domenica…”.

Stupito da tanta schiettezza e sincerità, è inutile dirvi che ho accettato la sfida e deciso di intervistare la persona in questione, mantenendo la promessa di non rivelare nome, cognome e informazioni sensibili. “Forse quando avrò 50 anni e avrò imparato a fregarmene di tutti e tutto, ci metterò la faccia. Per adesso preferisco mantenere l’anonimato”.

Domanda: Ciao, benvenuto nel mio blog. Ti ringrazio ancora per avermi contattato. Da che cosa vuoi cominciare? Casa, lavoro, stipendio o prospettive di vita?
Risposta: Ti direi di cominciare da casa e lavoro, anche se inevitabilmente finirò per raccontarti altre cose della mia vita. Sono nato e cresciuto a xxyyzz in Piemonte, in una famiglia tutto sommato serena, anche se purtroppo sono figlio unico. Mi è mancato un fratello o una sorella con cui passare i lunghi pomeriggi dell’infanzia, se ci penso, ma fortunatamente ho tanti amici, che considero come fratelli. La casa di famiglia è uno spettacolo: un appartamento da 300 mq moderno e luminoso, con 2 camere per gli ospiti e un grande soggiorno perfetto per aperitivi e cene, che sfocia su una terrazza altrettanto ampia e piena di piante e fiori. Sia io sia i miei genitori siamo molto festaioli. Mio padre è sempre stato pieno di soldi, nel senso che non siamo milionari ma secondo me 20 o 30mila euro al mese li ha sempre portati a casa. È dirigente d’azienda e anche se il nostro rapporto a volte è conflittuale, negli ultimi tempi stiamo imparando a volerci bene. Mia madre lavora in una farmacia vicino casa, ed è con lei che mi sento veramente legato: è la mia ancora di salvezza ed è buona e gentile nel profondo. Siamo molto benestanti, come ti dicevo: abbiamo una casa al mare in Liguria, dove ho trascorso alcune delle estati più belle della mia vita, soprattutto fino ai 20 anni, prima che il gruppo di amici storici si sfaldasse per inconciliabili visioni sulla vita; e poi una casa in collina in provincia di Venezia e una in montagna vicino a Gressoney. Poi ne abbiamo una a Sesto San Giovanni, dove ogni tanto ci va mio padre per motivi di lavoro, e un’altra ancora, quella in cui abito attualmente, in zona Solari qui a Milano. È una casa molto grande, con un pavimento in parquet, tre camere, due bagni, un salotto molto confortevole e due terrazze. Sono un privilegiato, uno caduto in piedi. Lo riconosco, non me ne vergogno e non ho bisogno di dire le cose velate da filtri. A me poi lavorare non piace più di tanto, mi fa stare male mentalmente e anche fisicamente. Dopo la laurea, ottenuta quasi quattro anni fa, a causa del lavoro sono ingrassato parecchio e ho dolori costanti al collo e alla schiena. Vado dall’osteopata una volta a settimana, ma sto sempre peggio. Non sto più né suonando il basso elettrico né leggendo romanzi come ai tempi del liceo e dell’Università. Se va bene riesco a fare una passeggiata soltanto la domenica mattina, pensando al lavoro a ogni dannato passo. Lavoro tantissimo e il lavoro non mi piace per niente. Solo che sono pieno di responsabilità e gestisco diversi clienti, quindi purtroppo non riesco a staccare con la testa nemmeno quando dormo. O passeggio. Mi capita di svegliarmi nel cuore della notte per incubi legati al lavoro. Fino ad alcuni anni fa, giocavo a calcio in una lega dilettantistica ed ero molto in forma. Oggi invece sono sempre stanco e dopo lavoro ho soltanto voglia di dormire. Non ho una ragazza, forse una di quelle con i super poteri mi tirerebbe su, ma con la vita che faccio non ho tempo da dedicare a conoscere e incontrare nuove persone. Non ho tempo neanche per Thomas e Marco, i miei due migliori amici che abitano entrambi qui a Milano. Che poi se usciamo un venerdì o un sabato sera, sto a pezzi per una settimana. Mi sento molto regredito dal punto di vista sociale e relazionale, oltre che energetico. E poi il livello della gente è basso, secondo me c’è molta superficialità in giro. Trovare persone profonde è molto difficile. Non ci provo nemmeno. Per fortuna non sto perdendo i capelli: tra tutte le disgrazie, a quella della pelata non so proprio come potrei reagire.

D: Perché dici che non ti piace lavorare? Come ti relazioni con il lavoro, lo stipendio, il costo della vita e il tempo libero a tua disposizione?
R: Non mi piace lavorare e fare sacrifici perché sono nato e cresciuto troppo da benestante. Sono sempre stato abituato ad avere tutto e subito: i soldi per uscire, per comprarmi i vestiti, per fare viaggi ovunque volessi andare e per soddisfare i miei sfizi. Con i soldi, la soluzione arriva sempre un attimo prima che un problema possa realmente definirsi tale. Non sto dicendo che i soldi fanno la felicità e risolvono tutto, ma quando hai abbastanza soldi da poter respirare e vivere bene, almeno non hai il problema dei soldi. E non avercelo, specialmente oggi, è una gran cosa. Il risvolto della medaglia, quando sei figlio di ricchi, è che ti abitui a diventare un inetto, un fannullone, un pigro, non impari il valore delle cose e le difficoltà dell’esistenza. Quello di cui ti sto parlando è un problema di una grossa parte del mio strato sociale, di quello dei benestanti. Ci sono migliaia di giovani pigri in Italia, gente che continua a spendere i soldi dei genitori fino a 40 anni. Gente che, avendo le spalle protette, non si impegna fino in fondo nelle cose perché tanto sa che è coperto a vita o quasi; gente che non cambia lavori orribili e pagati una miseria perché “vabbè, tanto una cosa vale l’altra, io i soldi ce li ho e per adesso mi va bene così, ho mille cose con cui sfogarmi”; gente che guadagna 1.800 euro al mese e ne spende 3.000 solo in bar, ristoranti e weekend idioti in giro per Europa e Italia a postare storie su Instagram totalmente prive di senso e uguali a quelle di milioni di altri benestanti sparsi per il mondo. Io non sono così, per fortuna. Prima di lavorare, però, forse lo ero. Quando ero all’Università mangiavo fuori a colazione, pranzo e cena quasi tutti i giorni, prendevo la macchina e andavo a trovare i fine settimana i miei amici sparsi in tutta Italia e davo soddisfazione a ogni mio vizio. Poi ho iniziato a lavorare, e qui ho conosciuto la sofferenza e il valore dei soldi. E ho anche imparato il sacrificio e la bellezza di fare tutti i giorni cose orribili, tipo il mio lavoro. Mi lamento sempre e, ti giuro, già quando sono a un chilometro dal luogo di lavoro inizio a sentirmi male, ma alla fine lavoro sempre come un dannato. E adesso non chiedo più un euro a mio padre, anche quando arrivano spese importanti e improvvise tipo il dentista, le assicurazioni o altre rotture. Faccio fatica, ma almeno in questo sono in pace con me stesso. E a lavoro sono pure bravo. Guadagno sui 1.800 euro al mese, che in realtà è molto poco per quello che lavoro e per le responsabilità che ho. Ho circa 200 euro al mese di buoni pasto e vivo in una casa di mia proprietà qui a Milano. Sai, non pagando l’affitto me la passo abbastanza bene da questo punto di vista. Il problema per adesso non sono i soldi.

D: Qual è il problema? Che cos’è successo nell’azienda per cui lavori?
R: Dopo aver lavorato part time per un’azienda di xxyyzz e sotto stage per una società di xxyyzz, ho deciso di cambiare lavoro per avere l’opportunità di crescere e guadagnare qualcosa in più. Anche dove sono adesso sono partito in stage, a 600 euro al mese, ovviamente, nonostante avessi quasi 28 anni. Che già partiamo bene, mi dirai, ma la verità è che ormai non me la prendo neanche più con gli imprenditori e i datori di lavoro: hai idea di quanto costi un dipendente? Non tutti sono infami, ma tutti se hanno la possibilità di risparmiare risparmiano, e ovviamente lo fanno sullo stipendio di giovani e ultimi arrivati. Quindi inizio a lavorare per quest’azienda di xxyyzz e il lavoro è veramente un casino: abbiamo dei software e dei sistemi di gestione difficilissimi da usare e alcuni colleghi che sono in azienda da anni ancora non hanno chiare le cose base. Lo stage andava bene, alcuni giorni erano intensi, altri meno. E quando ero in smart alcuni pisolini in orario di lavoro me li facevo. Dopo un mese, però, licenziano il capo dipartimento e arriva un’incompetente di prima categoria, che quello che c’era prima a confronto era un fenomeno. Sostituita dopo poche settimane. Dopo tre mesi arrivano quattro dimissioni, e una ragazza se ne va in maternità. I motivi erano gli stessi per tutti: nessuno si trovava bene e tutti guadagnavano poco. Eravamo nel panico, perché per imparare a usare i nostri software e capire alcune dinamiche lavorative ci vogliono almeno tre mesi. Non puoi assumere gente a caso per tappare i buchi. Io ero ancora in stage e aiutavo alcuni colleghi a gestire i clienti. Bene, dopo i vari congedi da un giorno all’altro mi sono trovato a diventare il direttore non di uno ma ben di 13 clienti. Puoi provare a immaginare come mi sono sentito: non ero minimamente in grado di affrontare la situazione, né tecnicamente (perché non sapevo ancora come lavorare) né mentalmente (perché sotto sotto avevo poca voglia di mettermi in gioco e comunque la situazione era pazza e assurda).

D: Come hai reagito a questa situazione di difficoltà?
R: Come vuoi che abbia reagito? Malissimo, sono andato nel panico più totale. L’ansia, che prima non sapevo che cosa fosse, è diventata mia compagna di vita e il sonno non so più che cosa sia. Prova tu a gestire letteralmente da un giorno all’altro 13 clienti, tra cui multinazionali e grandi colossi di diverse industrie. Che poi per lavoro mi tocca anche muovermi e fare riunioni e meeting ogni settimana in almeno cinque regioni diverse. Però ho anche reagito bene, nel senso che mi sono rimboccato le maniche e ho iniziato a spingere. Mi lamento, odio quello che faccio, ma lo faccio bene. Amo fare le cose con ordine e precisione. Non me la vivo bene, però, non sono felice, lavoro ogni giorno fino alle 20 o alle 21 (con straordinari non pagati), e accendo il computer anche nei weekend. Però sono bravo alla fine dei conti. I colleghi, i manager e i clienti mi fanno sempre i complimenti. Riuscire a fare le cose bene e nei tempi mi fa stare bene, ma il lavoro in sè è davvero brutto e poco appagante. Non mi piace e non mi dà alcuna soddisfazione. E la vita che faccio non è degna di essere chiamata vita. Esci da casa e da lavoro, cammini sotto le luci e l’aria dell’inquinamento di Milano, prendi la metro schiacciato insieme ad altre persone e poi vai a dormire. Mangio un po’ come capita quasi tutti i giorni, perché spesso non ho tempo né energie per mangiare bene o cucinare. Il lavoro nobilità l’uomo, è vero, ma il lavoro che ti piace e che non ti toglie gli ultimi anni di gioventù. Oggi la vita si è trasformata tantissimo e va veloce e in direzioni molto pericolose. Come fa un padre a dedicare tempo alla famiglia se lavora come me? Lo dico perché ho colleghi genitori. Davvero, vivere e lavorare a Milano è terribile. Forse sono un pelo pessimista e sfiduciato, ma come me ci sono migliaia e migliaia di persone, anche molto più sfortunate. Io almeno ho un contratto di lavoro vero, riesco ad arrivare a fine mese e ho una bella casa in cui dormire.

D: Quindi che cosa pensi di Milano in questo momento storico, soprattutto in riferimento a giovani, casa e lavoro?
R: Penso che Milano sia tutta una grande truffa: la maggioranza dei lavori sono pagati malissimo e il costo della vita è folle. Ti ripeto, ho la fortuna di non pagare l’affitto e quindi riesco a respirare. Ma come fa un mio coetaneo di 30 anni a rimanere qui a Milano, con stipendi che se va bene si aggirano sui 1700/1800 euro al mese e affitti che vanno dai 500/600 euro per una singola fino ai 1300 per un bi o un trilocale? E le prospettive? Stanno crescendo gli stipendi? Cresceranno quando avremo 35 o 40 anni? Molto probabilmente no, mentre il costo della vita e degli affitti sì. Però Milano è Milano, vero? Milano ha ancora il mito di se stessa, e riesce ad andare avanti solamente per questo: Milano è la città del lavoro, delle grandi occasioni, degli incontri, dei contatti, delle belle donne, del divertimento, e ancora degli eventi, dell’arte, della moda e della cultura. Sì, se hai soldi. Se non hai soldi a tutte queste cose non accedi. Ovviamente a un lavoro accedi, ma solo a quello. E a quale prezzo! Quindi che ti devo dire? Che Milano e la questione di casa e lavoro stanno per implodere per mille ragioni, che qui c’è una mentalità del lavoro tossica e senza senso, che la gente è contenta di essere sfruttata e in fin dei conti alimenta questo sistema all’infinito. Nessuno vede la realtà, fa figo dire di vivere e lavorare a Milano. Magari torni al tuo paesello in campagna e dici di essere il digital specialist junior sales account marketing controller producer di un’azienda che fa product digital web content. Poi sei in stage per due anni di fila a meno di 1.000 euro al mese e se ti assumono guadagni quello che guadagneresti al tuo paese ma con affitti e costi della vita mostruosi. Per carità! E poi questi inglesismi onnipresenti! La gente parla sempre peggio in italiano. È questa Milano? Farsi un aperitivo o una cena vestiti bene a parlare di lavoro, vacanze pagate dal papi e cercare di apparire interessanti? Aperitivi e cene che, vorrei ricordare, non sono gratis: esci due sere a settimana e ti parte via una bella fetta di stipendio. Che cosa vuoi che pensi?

D: Perché allora non lasci Milano, cambi la tua vita e trovi un lavoro diverso o più appagante?
R: Perché non è facile. Per trovare un lavoro ci vogliono mesi, la prossima azienda quasi di sicuro mi pagherebbe meno soldi o gli stessi soldi e tutto sommato ho ancora poca esperienza. Qui dentro almeno due anni vorrei farmeli, poi, per far vedere che un senso all’esperienza riesco a darglielo e che non sono uno che molla. Mancano ancora 7 mesi. E poi sono pigro e poco coraggioso. Dovrei lavorare 10/12 ore al giorno e poi cercare lavoro altre due o tre ore la sera e nei weekend? E i colloqui? Come faccio con i permessi? Cercare lavoro è un lavoro e occupa molto tempo. Per fortuna sto risparmiando molti soldi. Sai, non uscendo praticamente mai e con 200 euro di buoni pasti ce la faccio a risparmiare. Quindi preferisco resistere ancora un po’ di tempo dove lavoro adesso, licenziarmi soltanto quando proprio non ne potrò più e stare due o tre mesi nella mia casa al mare, per riposarmi e riprogrammare la mia vita. Ho bisogno di staccare sul serio prima di poter decidere. Non riesco a scegliere adesso. Sono travolto dal lavoro. Ho paura e il nuovo è un salto nel vuoto troppo grande. Che poi per lo meno ho un lavoro in una buona azienda. Sono sfruttato e tutto, ma dietro di me ci sono migliaia di persone che vorrebbero stare al posto mio, e anzi ne sarebbero felicissime. Forse, non lo so, Milano non fa per me. E le prospettive sono quelle che sono. Ma resta il fatto che io non mi sento più me stesso e prima di tutto vorrei tornare a sentirmi bene. Non lo so, con tutte le case che ho forse potrei metterle in affitto, così guadagnerei un bel po’ di soldi senza dovermi spaccare di lavoro. Solo con quella di Milano potrei farci 2 o 3000 euro al mese, giusto per alimentare quel sistema che tanto dico di odiare. Che poi lavorare fa bene, non riuscirei a non fare niente. Vorrei un lavoro più leggero e meglio organizzato, però. Forse sì, forse metterò le case di famiglia in affitto e mi cercherò un nuovo lavoro per essere in pace con la coscienza. Ma le scelte sono sempre dure ed è difficile sentirsi realizzati, soprattutto alla nostra età e in questo maledetto periodo storico. E soprattutto se sei uno che pensa.

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