La notizia è stata scovata da Luigi Chiarello di Italia Oggi, e poi rilanciata, diventando così più vera del vero, dall’Ansa e dai siti dei principali giornali nazionali: gli Usa intendono imporre un dazio complessivo sino al 107% sulla pasta italiana a partire dal prossimo anno. Una vera botta, che potrebbe mettere in crisi l’export dei produttori nazionali verso l’America che, nel 2024, è valso 671 milioni di euro circa.
I motivi di questo fulmine a ciel sereno? Un indagine del dipartimento del Commercio Usa che avrebbe rilevato attività di dumping commerciale, pratiche scorrette e altre amenità del genere. Negli anni scorsi indagini di questo tipo si erano sempre concluse con un nulla di fatto, e anche oggi i produttori italiani, sostenuti dal ministero degli Esteri, ribadiscono la correttezza del proprio agire.
Ciò che lascia perplessi è l’entità della tariffa doganale punitiva, ossia il 92% circa, che sommato al 15% imposto su tutti i prodotti europei a seguito della guerra commerciale dichiarata da Donald Trump all’intero mondo, fa appunto 107%.
Evidentemente l’amministrazione Usa si è adeguata al modello imposto dall’inquilino della Casa Bianca. E non stupirebbe se proprio Trump saltasse fuori a breve con il suo solito: “Let’s have a deal!”, ché il contrattare per un accordo è un po’ il mantra del 47° (nonché 45°) presidente Usa e il suo modo per mostrare al paese di che pasta lui è fatto! Anche a prescindere dei reali risultati che tali trattative producono. Non a caso il modo di agire è sempre uguale: minaccia di una tariffa punitiva e spropositata, ma ovviamente negoziabile, e ricerca di accordi in ottica di business.
Intanto i pastai italiani chiedono il supporto del governo per un’azione che, al momento, appare di tipo diplomatico e commerciale.
In parallelo non sarebbe male muoversi anche per altre vie; per esempio cercando nuovi mercati o aprendo al libero scambio quelli già raggiunti. Il Ceta (Comprehensive economic and trade agreement) con il Canada, tanto per fare un esempio, è ancora appeso alla mancata ratifica da parte dell’Italia. E proprio il Canada è il maggior produttore al mondo di grano duro. Anche il Messico, tu guarda le coincidenze, che non vede di buon occhio la politica commerciale trumpiana essendone stato direttamente colpito, è tra i maggiori produttori al mondo di questo cereale necessario per la pasta secca.
Fondamentale è che non si ceda alla tentazione di sovvenzionare in qualche modo i produttori italiani per rendere i prezzi di esportazione più competitivi nonostante i dazi. Al di là del fatto che le accuse di dumping, in questo modo, guadagnerebbero almeno un po’ di consistenza, far pagare agli italiani le tasse in capo agli americani sarebbe inaccettabile e controproducente.