In un contesto di profonda trasformazione economica, l’Europa rischia di rimanere indietro rispetto a Stati Uniti e Cina a livello di mercati globali. Questo il cuore dell’intervento di Giovanni Tria, economista ed ex ministro dell’Economia e delle Finanze, al CvSecuritisationDay, che si è tenuto a Milano il 27 febbraio.
L’ex ministro ha aperto i lavori con un’ampia panoramica sui mercati globali, evidenziando il divario crescente tra il Vecchio Continente e le economie più dinamiche del mondo, soffermandosi sul nodo cruciale degli investimenti: mentre Cina e Stati Uniti destinano ingenti risorse alle nuove tecnologie, all’intelligenza artificiale e alla transizione green, l’Europa fatica a costruire un modello competitivo sostenibile. L’assenza di un safe asset europeo e di una politica industriale coordinata rappresentano ostacoli strutturali che frenano la crescita. In questo scenario, strumenti come le cartolarizzazioni potrebbero svolgere un ruolo chiave, canalizzando il risparmio verso investimenti strategici e sostenendo lo sviluppo economico.
Un’Europa arretrata rispetto a Stati Uniti e Cina
Ci sono squilibri globali, che parlano di un’Europa rimasta un po’ indietro. I rapporti sull’Europa di Draghi e di Letta si concentrano essenzialmente sul declino europeo. Stiamo perdendo competitività. Ci troviamo in un momento di grandi transizioni, a tutti i livelli: ecologiche, digitali, di intelligenza artificiale e anche di sanità (siamo appena usciti dal covid). Tutto ciò richiede la necessità di produrre in modo nuovo, diverso, green. Chi riesce a rinnovarsi ed essere alla frontiera in questi campi riesce a competere nei mercati globali. Da qui sono partite le politiche industriali abbandonate in Occidente. La Cina le ha sempre portate avanti, e così gli Stati Uniti. Sono questi i mercati globali del futuro.
L’Europa, invece, è rimasta indietro perché non ha investito. Chi sta avanti è chi ha investito: in tecnologie, nel green e nell’intelligenza artificiale. La Cina investe centinaia di miliardi ogni anno nei settori di frontiera, gli Stati Uniti anche. Il rapporto Draghi dice che sarebbero necessari 800 miliardi l’anno a livello Ue. Ma essenzialmente gli investimenti devono essere finanziati e devono essere finanziati attraverso il risparmio. La Cina, che economicamente è all’avanguardia e investe massicciamente su tutte le tecnologie del futuro ha un tasso di risparmio nazionale del 45%. La propensione al risparmio delle famiglie è intorno al 36/37%. È chiaro che al di là delle difficoltà del mercato cinese, si tratta di una base di finanziamento di investimenti massiccia.
Stati Uniti: un mercato dove continuare a investire
Se però guardiamo gli Usa, il tasso di risparmio è quasi nullo (3/4% per famiglia). E allora come fanno a investire massicciamente? Il punto è diverso in questo caso: gli Stati Uniti hanno il dollaro, che è la valuta internazionale. Non hanno risparmio, eppure investono molto, e questo si riflette sul deficit commerciale degli Stati Uniti che adesso Trump vorrebbe ridurre. E quindi “come mai il dollaro continua a essere il safe asset globale? – si domanda Tria – Perché è un titolo sicuro, che attira investimenti da tutto il mondo e compensa il deficit commerciale”. Adesso gli investimenti negli Stati Uniti rendono molto, le big tech che sono al top (e sono al top perché hanno investito a loro volta) attirano capitali da ogni parte del mondo.
E l’Europa ha risparmio?
Per il risparmio delle famiglie europee siamo intorno al 10% circa, ma si tratta di un flusso che va spesso fuori dal continente, fa parte del risparmio del mondo che va principalmente negli States o in altri Paesi dove il rendimento è maggiore.
In Europa ci sono 300 miliardi di risparmio l’anno che se ne vanno via, fuori dall’Europa. È quindi chiaro che dovrebbe entrare in campo “il mercato unico dei capitali, che serve a creare le condizioni più favorevoli per gli investimenti, gestire in modo più efficiente l’afflusso del risparmio verso le attività produttive e avvicinarsi un po’ di più ai parametri del mondo anglosassone, dove il finanziamento delle imprese non è concentrato nel sistema bancario ma anche attraverso il capitale di rischio”, spiega l’ex ministro.
Il debito europeo
Questo è il quadro generale. Quando Draghi parla del debito europeo per finanziare i grandi investimenti necessari in tutta Europa per interrompere il declino, intende dire che il debito europeo non sarebbe soltanto il modo di finanziare questi investimenti ma consisterebbe in titoli europei. La difficoltà del debito europeo è che non c’è un governo europeo. Ma il debito europeo significherebbe mettere titoli europei che sarebbe un safe asset, che potrebbe essere un riferimento per sistema finanziario, e darebbe nuova forza anche all’euro come valuta internazionale di titoli in euro che potrebbero essere detenuti nelle riserve ufficiali delle grandi banche del mondo, come accade per i titoli denominati in dollari. “Dietro all’idea del debito europeo c’è quindi questo tentativo di risolvere il problema”, afferma Tria.
Tutto questo discorso per arrivare al fatto che c’è un problema di come convogliare il risparmio europeo in investimenti in imprese europee. Un Safe asset europeo si giocherebbe la partita anche nel mercato globale, e come tale potrebbe non solo intrattenere di più il risparmio europeo in Europa, ma attrarre anche risparmio dal resto del mondo.
E qui arriviamo alle cartolarizzazioni, che devono servire a creare questo ponte tra quel risparmio che affluisce nelle banche attraverso i depositi. Attraverso le cartolarizzazioni è infatti possibile liberare capitale per permettere alle banche di dare più credito e, dall’altra parte, per fare arrivare il risparmio a investitori secondo il diverso grado di rischio che i vari investitori sono in grado di accettare.
Il cambio di guida negli States può favorire un safe asset in Europa?
“Io credo che un incentivo ci sia – ha detto Tria -. Cosa succederà realmente con questo cambio di amministrazione ancora non lo sappiamo. Se ci sarà più inflazione negli Stati Uniti, bisognerà mantenere alti i tassi e questo impedirà la svalutazione del dollaro. Questo non fa bene alla bilancia commerciale americana, ma mantiene in piedi il sistema (attrarre capitale, finanziare investimenti)”.
“Non sappiamo cosa verrà fatto, perché rispetto agli obiettivi dichiarati, i provvedimenti sono spesso contraddittori e non c’è una coerenza – ha proseguito – Sembra un gioco negoziale, quindi la risposta non è avere altri dazi che danneggerebbero l’Europa, ma aprirsi di più al mercato globale, vedere i rapporti commerciali con il resto del mondo”. Sarebbe inoltre sempre più necessario andare nel mercato dei capitali e approfondire il mercato finanziario europeo. L’Europa deve confrontarsi con il resto del mondo e ridefinire il suo mercato dei capitali. Nel breve periodo è difficile, l’europa stessa è priva di un potere sovranazionale reale o di un governo federale che possa prendere provvedimenti. “Eppure la direzione da seguire è quella globale”.
Un’Europa disunita
Le differenze tra i singoli Paesi sono sicuramente motivo di difficoltà. “In Italia ci sono grandi opportunità di investitori, ma c’è il rischio legale”. Il rischio legale è un insieme di cose, e non riguarda solo la lunghezza della giurisdizione e dei processi, ma anche la variabilità delle norme, la volatilità dei pronunciamenti su casi del tutto simili. In Italia non c’è il principio del precedente, come c’è nel mondo anglosassone, che è un riferimento. In più c’è la mancanza di senso dello Stato, e più precisamente della continuità dello stato. I governi che si alternano cambiano continuamente le norme. Manca la continuità dello stato. In azienda quando si cambia il ceo non saltano i contratti, ma nella politica sì. “E questo è ancora un punto debole da cui non siamo usciti”, ha concluso Tria.