Vi siete mai chiesti che tipo di immagine proiettate sul web? Avete mai “googlato” il vostro nome o il nome della vostra attività di business? Siete mai stati pienamente soddisfatti della vostra identità digitale?
Identità digitale: un asset ormai imprescindibile, ma difficile da valutare e misurare, perché spesse volte risulta essere diversa da quella che noi percepiamo di noi stessi “offline”.
Per capirci di più, ci siamo seduti con Patrizia Minerva, client director, e Tecla Notti, responsabile comunicazione di Reputation Manager, dal 2004 società di riferimento in Italia nell’analisi e nella gestione della reputazione di istituzioni, aziende, top manager e personaggi di rilievo pubblico.
Abbiamo parlato di realtà e percezione, non solo di brand, aziende e persone, ma anche… di una città come Milano.
Ciao Patrizia, ciao Tecla! Inauguriamo ogni intervista di Redpoint_Real People con una domanda in apparenza semplice: che cos’è il mondo, per voi?
Patrizia: All’interno di quest’azienda, quando parliamo di mondo, parliamo di percezione, che poi è l’essenza stessa del concetto di reputazione. All’interno del mondo che noi valutiamo, ovvero il mondo digitale, la sensazione che abbiamo in questo momento è di caos. Tutti i precedenti parametri della comunicazione sono venuti meno, non c’è più un ordine cronologico, le notizie sono permanenti, sono visibili per sempre. Non esiste più nemmeno un criterio di autorevolezza, non c’è alcun criterio definibile, al di là degli algoritmi di ogni piattaforma. L’intangibile è molto più tangibile e dà molti più effetti della realtà stessa. E’ un po’ come buttare un mazzo di carte su un tavolo e vedere cosa succede, ma non è certamente un ordine quello che emerge.
Questo caos, lo vivete come professioniste, o anche nella vostra sfera personale?
Tecla: Noi che siamo professionisti di questo mondo abbiamo più strumenti per non esserne travolti. È innegabile: siamo immersi in un mare di informazioni che scorrono velocemente. Quest’immersione non ti consente di avere la giusta distanza per valutare le cose che ti vengono messe di fronte da un algoritmo. D’altro canto, io sento come persona, nella mia esperienza di genitore, di avere delle preoccupazioni notevoli per quello che sarà, pensando a quanto la rete sia diventata teatro di relazioni e interazioni violente, di cui sempre più spesso sono protagonisti i giovanissimi con tutte le loro fragilità. Se penso a quando ho iniziato questo percorso lavorativo, nel 2008, sono successe tantissime cose nel mondo digitale, con una velocità impareggiabile rispetto al decennio precedente. Pensate ai cambiamenti introdotti solo nell’ultimo anno dall’intelligenza artificiale disponibile per tutti: un’evoluzione difficilmente immaginabile solo qualche anno fa per i non addetti ai lavori e con la quale però tutti dobbiamo fare i conti, nel bene e nel male.
Come spieghereste, a persone che non vi conoscono, quello che fate professionalmente ogni giorno?
Patrizia: Costruiamo, progettiamo e proteggiamo l’identità digitale di qualsiasi tipo di entità. La reputazione è un elemento che coinvolge aziende, persone, ma non solo… per esempio anche una città può avere una reputazione digitale. Noi analizziamo quello che è presente e, senza inventare nulla, mettiamo ordine in questo caos di informazioni, affinché vi sia una traiettoria di conoscenza percettiva che dia la giusta rappresentazione di carattere valoriale. Questo percorso è complesso. Abbiamo colleghi e colleghe che sono laureati/e in psicologia, sociologia, informatica, ingegneria che hanno competenze tecniche, di comunicazione, giuridiche. La strategia è molto alta e richiede competenze trasversali. Dopodiché, quest’attività dev’essere mantenuta, verificata e presidiata.
Quindi, se una volta la brand image era l’esito, più o meno efficace, di una strategia di identità di brand, adesso…?
Tecla: Dall’ avvento del cosiddetto web 2.0, che da ormai circa vent’anni ha cambiato la comunicazione, introducendo l’interazione diretta delle persone nel dibattito pubblico, la brand image viene delineata anche da tutto ciò che viene pubblicato in rete. Come diceva Patrizia, si tratta anche di dare un peso a questo caos informativo. Non tutto ha lo stesso valore, lo stesso impatto. Specialmente se si tratta di elementi intangibili.
Patrizia: Anche la gravità, la luce sono intangibili, però possono essere misurate. Allo stesso modo, noi di Reputation Manager, riusciamo a misurare la reputazione. Il nostro CEO (Andrea Barchiesi, NdR) è un ingegnere elettronico, e ha ideato una metodologia che consente di dare un peso specifico, un “kilogrammo reputazionale”, a ciascuna notizia che individuiamo online. Per esempio, un conto è un post sul mio profilo Facebook che ha due persone che lo seguono, diverso è un articolo sullo stesso argomento che compare sul sito di un importante quotidiano nazionale.
Abbiamo inoltre la possibilità di indirizzare la reputazione di una qualsiasi entità, in relazione a uno specifico aspetto reputazionale, come può essere l’ESG, la leadership, l’employer branding, l’attrattività di talenti, l’individuazione del rischio, la gestione delle crisi reputazionali, e così via. Chiamiamo questa attività di costruzione “ingegneria reputazionale”. Non inventiamo mai nulla, semplicemente mettiamo ordine, posizioniamo in termini valoriali quelle notizie che, sebbene presenti in rete, non sono state ili. considerate dall’algoritmo come pertinenti e visibili
Hai parlato di ESG: in questo blog ci occupiamo non solo di comunicazione, ma anche di sostenibilità. Quanto impatta, quest’ultimo concetto, sulla web reputation?
Patrizia: Impatta in maniera significativa. Per esempio, abbiamo costituito un indice percettivo sugli ESG che va a misurare la correlazione tra i 17 pillars identificati dall’ONU come obiettivi da raggiungere entro il 2030, con i singoli brand. Anche qui, precisiamo, è un’attività che si muove sulla misura del “percepito”.
Di cambiamento climatico si parlava anche 20 anni fa – Al Gore faceva una serie di conferenze sul tema già nel 1998 – dopodiché è diventato un elemento che progressivamente ha avuto un’attenzione tale per cui in realtà è diventato mandatory. La vera svolta è stata con Greta Thunberg. Lei è stata in grado di portare il dibattito sull’ambiente a un livello mediatico mai visto prima, perché c’erano le condizioni affinché quel discorso attecchisse sull’opinione pubblica… Oggi assistiamo a una decelerazione
Cosa succede, parlando di ESG, quando in un business c’è una differenza tra il reale e il percepito?
Patrizia: Si parla di divergenza. Può esserci anche una divergenza positiva, quando, per esempio, l’azienda svolge un tipo di attività ESG importante, valoriale, che non emerge da un punto di vista reputazionale. È un’opportunità, e noi facciamo in modo che quelle attività risultino visibili e valorizzate.
Al contrario, invece, si parla di divergenza negativa quando ci sono aziende che hanno un’attività di comunicazione molto specifica sui temi ESG, ma poi portano avanti un business che magari non è prettamente compliant con questi argomenti. È un elemento da monitorare, perché potrebbe essere una “sleeping bomb”, ovvero un evento che produce una crisi vera e propria. In quel caso, bisogna essere sempre molto consapevoli di dove si trova il “punto di realtà” e – come fanno i velisti – sapere qual è la giusta tensione della scotta quando stai andando a vela, in funzione del vento. Perché il rischio c’è. Nel caso in cui dovesse emergere una notizia negativa, tanto maggiore è la percezione in positivo che si ha di quell’azienda, tanto maggiore è il rischio che ci sia una caduta reputazionale importante. Vi è una proporzione.
Il “punto di realtà” è un bellissimo concetto, soprattutto in un mondo sempre di più digitale. Come incoraggiate le aziende a prendere in considerazione e a conoscere il proprio “punto di realtà”?
Patrizia: Quello che consigliamo è di iniziare un percorso di ottimizzazione e valorizzazione. Anche di semplificazione: ovvero riuscire a organizzare le informazioni in modo che l’utente riesca a raggiungerle senza dover fare dei percorsi difficili. Per esempio, riguardo agli obiettivi ESG, si tratta spesso di tematiche tecniche – parametri, criteri, certificazioni, bilanci di sostenibilità che, per quanto importanti, non sono comunicativi a livello utente – e non rendono giustizia ad aziende che hanno fatto un’attività seria e importante. A seconda degli elementi con cui ci rapportiamo, costruiamo delle strategie specifiche.
Avete prima detto che anche le città sono entità che subiscono ricadute reputazionali. Parliamo di Milano che sta vivendo un momento difficile rispetto alla percezione di tematiche quali la sicurezza e la vivibilità. Qual è il vostro punto di vista, come professioniste?
Patrizia: Non c’è una strategia, un pensiero sulla città, come c’era, per esempio durante l’Expo 2015. Per questo prima ho parlato di caos, perché, in questo momento, è tutto molto aleatorio. Se ci fosse un’attività effettiva di valorizzazione strategica degli elementi positivi, questo aiuterebbe.
Tecla: A novembre 2023, abbiamo avviato un’analisi sulla percezione di sicurezza a Milano, dalla quale sono emersi dei dati interessanti. Innanzitutto, c’erano tantissimi contenuti: su un anno parliamo di quasi 55’000 contenuti in rete. Tantissimi video su Tik-Tok di persone che raccontavano episodi di violenza o altre situazioni spiacevoli vissute in città. E solo questi video registravano in un mese 13 milioni di visualizzazioni. È evidente come non ci sia né contezza né un piano per gestire la percezione di questi contenuti online. La divergenza, di cui abbiamo parlato prima, può essere importante: se io non vivo a Milano e vedo queste cose online ne traggo un’opinione molto negativa che forse non è nemmeno aderente a quello che accade nell’esperienza effettiva.
Patrizia: Consideriamo che poi gli elementi che troviamo online subiscono una polarizzazione verso il negativo, perché è normale dare maggiore enfasi alle notizie negative. È nella natura delle piattaforme, perché questo genere di informazioni cattura l’attenzione, ed è nella natura umana, perché siamo abituati a cercare notizie dalle quali ricevere dei warning.
In questo “caos”, qual è la strada da percorrere?
Patrizia: Credo che, in tema di reputation, occorre fare un paio di passaggi di carattere culturale, per capire quanto possa essere utile, dal punto di vista strategico, una consapevolezza maggiore delle azioni da intraprendere per la costruzione e la tutela di un’identità digitale. Al di là della generazione a cui si appartiene, è necessario prendere coscienza del fatto che siamo in un’era diversa, in cui non basta più un articolo di giornale per smentire migliaia di post online.
di Matteo Luoni – Redpoint Communication