Gabetti: nel 2024 6,5 mld di investimenti corporate, il 61% da operatori esteri

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Nei primi nove mesi del 2024 si sono registrati in Italia 6,5 miliardi di euro di investimenti corporate, un volume in aumento dell’85% rispetto allo stesso periodo del 2023 (di circa 3,5 miliardi di euro) e che supera la quota totalizzata nel 2023, grazie a un terzo trimestre che risulta essere il migliore degli ultimi due anni con un investimento complessivo di 3 miliardi di euro.

Il volume maggiore di investimenti è localizzato principalmente nel Nord Italia (61%), segue il Centro con il 22% e il Sud con il 4%. Il restante 13% risulta essere composto da investimenti sparsi sul territorio nazionale. Dal punto di vista della provenienza dei capitali, invece gli investitori esteri (il 61%) risultano gli operatori più attivi sul mercato; tra questi spiccano i francesi nel comparto retail e gli americani focalizzati principalmente sul comparto logistico e retail.

Parliamo di 6,5 miliardi di euro: un volume che certifica la ripresa degli investimenti corporate e una fiducia ritrovata degli investitori verso l’Italia. Complice un processo di repricing ormai conclusosi e una curva inflattiva quasi del tutto sotto controllo, che ha spinto la Bce al taglio dei tassi già per la seconda volta quest’anno, la ruota degli investimenti immobiliari corporate è ormai tornata a girare. Anche i rendimenti dei titoli di stato italiani, che nell’ultimo anno e mezzo hanno costituito una vera alternativa d’investimento al real estate per i grandi investitori istituzionali, sono sempre meno appetibili visto il calo delle cedole. Ciononostante, quello che emerge è un contesto economico più favorevole rispetto al 2023. Ciò che di fatto ha trainato gli investimenti è l’obsolescenza dello stock immobiliare corporate che non incontra però le aspettative della domanda, ormai sempre più settorializzata e sempre più tenant e consumer oriented.

Come è cambiato il profilo dell’investitore istituzionale negli ultimi trent’anni

“La storia degli investimenti immobiliari degli ultimi trent’anni, indica che il mercato immobiliare corporate è un mercato anticiclico, anche se soggetto alle turbolenze dello scenario macroeconomico e ai fenomeni di natura socio-demografica e geopolitica che impattano sulla società e sul mondo delle imprese. E guardando agli ultimi trent’anni, emerge con chiara evidenza come gli investitori istituzionali abbiano da sempre presenziato il mercato italiano con un ritmo che è dipeso dagli eventi di natura economica e/o dalla capacità di un comparto economico di innovarsi tecnologicamente. Fasi in cui il mercato ha visto un rallentamento, altre in cui ha visto una crescita esponenziale, ma mai una perdita di interesse degli investitori nei confronti del sistema Paese o del tessuto imprenditoriale, questi ultimi veri catalizzatori degli investimenti nel real estate”, afferma Roberto Busso, amministratore delegato Gruppo Gabetti.

L’investitore istituzionale in Italia, soprattutto estero, c’è stato, c’è e continuerà a esserci, secondo quanto analizzato dall’Ufficio Studi Gabetti. E questo in virtù del biglietto da visita di cui gode l’Italia nel mondo, ma anche perché c’è ancora tanto da fare nel modernizzare il sistema infrastrutturale (digitalizzazione in primis) e nel dare voce alle nuove forme di domanda di spazio in cui vivere e lavorare. “Il gap tra domanda di immobili di nuova generazione e l’offerta è la cifra distintiva che catalizzerà gli investitori del mercato corporate” precisa Busso.

Se guardiamo alla serie storica degli ultimi 30 anni, il profilo degli investitori istituzionali si è adeguato allo scenario macro-economico del momento e alle rivoluzioni che ha subito un particolare settore. Così è stato, ad esempio, intorno alla metà degli anni 2000 con il boom dei centri commerciali. L’Italia stava vivendo l’esplosione dei centri commerciali per essere al passo con i nuovi modelli di consumo degli italiani attraendo molti investitori istituzionali esteri “cash&carry”, che di fatto hanno permesso la diffusione del prodotto in tutto lo stivale.

Poi è arrivata la crisi dei mutui sub-prime, dove l’investitore è diventato “ghost” scomparendo quasi del tutto dalle operazioni di asset allocation, a causa di un sistema bancario che in gran parte del mondo occidentale era letteralmente saltato e, di conseguenza, un livello di tassi di interesse che compromettevano le marginalità di molte operazioni.

L’attività di investimento è poi ritornata gradualmente in un periodo che caratterizzava gli anni tra il 2013 e il 2017, dove l’investitore istituzionale estero è diventato “hopeful”, nella speranza che il sistema potesse riprendersi dallo shock delle crisi bancarie del 2008. Questo grazie all’ascesa di una nuova asset class, l’office, che in quegli anni stava emergendo e che garantiva ottime prospettive di investimento.

Gli investitori istituzionali nello scenario macro-economico italiano

Nel 2019, l’attività di investimento immobiliare corporate ha raggiunto il suo massimo storico, la golden age di questi trent’anni, con gli uffici e hotel che hanno trainato il mercato e una politica monetaria abbastanza espansiva.
Dal 2020 quello che è successo è storia recente, con un livello di investimento molto up&down. Il 2020 ha di fatto bloccato l’attività di investimento con l’investitore istituzionale che è diventa “fearful”. Una situazione che cambia nel biennio 2021 e 2022 in cui la politica monetaria della Bce raggiunge la sua massima flessibilità con tassi di interesse che hanno raggiunto lo 0%. Qui l’investitore è molto “fearless”, con il coronavirus e tutte le sue conseguenze che ancora dominavano la scena mediatica, e non solo, ma con una grande opportunità d’investimento prima di allora sconosciuta: la logistica, che ancora nel 2024 è tra le asset class più appealing.

Tra il 2022 e il 2023, la crescita vertiginosa dell’inflazione e, di conseguenza, dei tassi di interesse, paralizza il sistema con molti investitori che vengono colti di sorpresa. Risultato: operazioni di asset allocation vengono congelate in attesa che lo scenario macro-economico diventasse meno turbolento. L’investitore assume un atteggiamento “wait and see”. Questi primi nove mesi del 2024 sono invece caratterizzati da un’inflazione che è quasi del tutto rientrata e una politica dei tassi della Bce che si accinge a essere meno restrittiva. La macchina degli investimenti si è quindi ripresa rispetto al 2023 grazie a quegli investitori istituzionali che hanno assunto un profilo “optimist”.

Gli investimenti nei primi 9 mesi del 2024: primeggiano retail e logistica

Ponendo uno sguardo più nel dettaglio a ciascuna asset class, nei primi nove mesi primeggia il retail con 1,8 miliardi di euro investiti, sebbene sia da precisare che le ottime performance del settore sono dovute all’eccezionale deal di Via Monte Napoleone da 1,3 miliardi di euro nel comparto retail, un’operazione già anticipata a inizio anno ma concretizzata soltanto negli ultimi mesi. Al netto di questa operazione, che ha segnato un record in Italia in termini di volume investito per single asset, il mercato high street è stato meno performante e ha lasciato spazio a operazioni riguardati la grande distribuzione (Gdo) e le gallerie commerciali concentrate tra il nord e il centro Italia.

Segue il settore industriale/logistico con 1,3 miliardi di euro, il 19% del volume complessivo da inizio anno, segnando nei primi nove mesi la seconda miglior performance di questa asset class finora realizzata. La dinamicità di questo settore che si conferma ancora una volta tra le prime asset class maggiormente preferite dagli investitori è aumentata negli ultimi anni a seguito della spinta data dall’e-commerce che, determinando un maggiore traffico merci, ha spinto la necessità di trovare nuovi spazi logistici. Ed è proprio il nord Italia che, grazie alla sua posizione geografica e al suo sistema infrastrutturale, risulta essere l’area di maggiore appeal per gli investitori che ricercano spazi moderni e strategicamente posizionati. Nel centro Italia, risulta essere la provincia di Roma l’area in cui gli investitori hanno allocato i propri capitali.

Segue il settore degli uffici con 1,2 miliardi di euro (19% del totale investito) con volumi più che raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2023 (540 milioni di euro). Milano e Roma si confermano le piazze principali per questa asset class, che ha visto importanti deal nel centro di entrambe le città. Dal punto di vista delle locazioni uffici, Milano ha registrato un take-up pari a 265.700 mq, in calo del 4,6% rispetto ai primi tre trimestri del 2023, con una crescita del +15% del numero di operazioni chiuse nei primi nove mesi del 2024. Anche Roma, registra un calo significativo, ma fisiologico, dopo il record storico dello scorso anno, con un assorbimento di spazi a uso ufficio di quasi 128.500 mq nei primi nove mesi del 2024. Nonostante il calo, la dinamicità del settore è stata determinata dalla persistente ricerca di spazi di qualità ed ESG compliant da parte di occupier che continuano a dover far fronte ad un’offerta limitata di tali spazi. Questo gap tra domanda e offerta ha portato, soprattutto nella città di Roma, a un aumento dei canoni nelle zone più centrali. Infatti, nel Cbd (Central Business District) di Roma il prime rent è salito, attestandosi a 550 euro/mq/a, mentre nella zona Eur è rimasto stabile a 360 euro/mq/a. Mercato stabile, invece, nel Cbd di Milano con un prime rent a 700 euro/mq/a, sebbene in questa zona si registrano canoni più alti in cui nel costo sono inclusi una serie di servizi specifici rivolti alle esigenze del locatario. Per quanto riguarda i prime net yield nel Cbd di entrambe le città rimangono stabili rispetto al trimestre precedente, attestandosi rispettivamente a 4,75% per la città di Roma e a 4,25% per quella di Milano.

Con 1,2 miliardi di euro investiti, il mercato dell’hospitality ha mostrato una notevole dinamicità nei primi nove mesi del 2024, pareggiando i volumi dell’intero anno del 2023 e registrando il secondo miglior risultato di sempre. Inoltre, anche l’ultimo trimestre, con 440 milioni di euro investiti, è risultato il miglior terzo trimestre finora realizzato. Il deal più rilevante di quest’ultimo trimestre ha riguardato un portafoglio di oltre 100 milioni registrato nell’ambito dell’ospitalità extra-alberghiera tra la Toscana e il Veneto. Le altre operazioni hanno riguardato principalmente acquisizioni di hotel di fascia medio-alta (4-5 stelle) e operazioni value-added, in un’ottica di riposizionamento dell’immobile al fine di ottenere maggiori margini di profitto a lungo termine. A livello comunale, le città più performanti sono state Roma, Milano e Venezia mentre nel sud Italia la regione che ha primeggiato è stata la Sicilia.

Nei primi nove mesi, il comparto mixed-use registra quasi 500 milioni di euro di volume investito (l’8% del totale). Tale risultato è stato raggiunto attraverso l’acquisizione degli scali ferroviari Farini e San Cristoforo, che insieme fanno parte del percorso di rigenerazione degli scali ferroviari avviato dal comune di Milano.

In termini di volumi di investimento, meno performante è stato invece il settore living con 365 milioni di euro, il 6% del totale, registrando un calo dovuto a un prodotto non ancora valorizzato nel mercato italiano. Le transazioni registrate si sono concentrate principalmente a Milano, città che si conferma ancora una volta al centro dell’interesse degli investitori grazie a una domanda abitativa in costante crescita nelle varie forme di residenzialità collettiva. Infatti, il terzo trimestre ha visto due importanti closing riguardanti il segmento dello student housing a Milano e Bologna.

Infine, l’alternative che include centraline telefoniche, data center, investimenti in ambito healthcare e in strutture scolastiche, ha pesato il 2% sul totale con 111 milioni di euro.

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