Milano calling

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La “londinizzazione” di Milano è un fenomeno di cui si parla sempre più spesso. I prezzi delle abitazioni sono sempre più cari. Per non parlare degli affitti, diventati ormai bene di lusso, in particolare per quella fondamentale classe media che, pur costituendo la fondazione su cui si erige il sistema economico nazionale e il plancton della catena alimentare del nostro sistema fiscale, e di conseguenza della spesa pubblica, sembra tristemente e inesorabilmente destinata all’estinzione.

Il caro affitti per gli studenti fuori sede è la più classica delle punte di iceberg su cui il sistema abitativo meneghino rischia di andarsi a schiantare. Certo, per una città che si vanta del fatto che servano entrambe le mani per contare tutte le Università insediate nel proprio territorio, e che giustamente punta sull’attrazione di giovani talentuosi, siano essi studenti o neo lavoratori, il problema non è secondario. Ma non riguarda solo gli studenti e non solo le Università.

Il rientro a scuola, ogni genitore ne converrà, presenta sempre qualche ostacolo. Uno slalom tra cattedre da assegnare, supplenti mancanti e difficoltà organizzative. Ma potrebbe andare peggio. Un insegnante di scuole superiori, per esempio, al primo incarico percepisce uno stipendio medio di 1.350 euro netti. Un po’ pochino per un ruolo che, a voce di tutti, è fondamentale per il futuro della nazione, con tutti i bla bla che ne conseguono.

A Milano non è impossibile trovare un bilocale in locazione situato attorno alla cerchia esterna, quella della 90/91 per capirci, al di sotto dei 1.200 euro al mese, ma bisogna avere tanta fortuna e altrettanta capacità di adattamento. Nonostante ciò, per il nostro professore sarebbe comunque una spesa fuori portata. Mettiamo però che la nomina risalga al 2017, quando i metri quadri in affitto costavano in media il 43% in meno rispetto a oggi, e che il fortunato docente avesse allora trovato un bell’appartamentino a 700 euro al mese. Il contratto 4+4 è in scadenza e verosimilmente verrà rinnovato a prezzi di mercato, mentre lo stipendio del professore è rimasto lo stesso. Beneficierà del primo scatto dal nono anno di lavoro, quando potrà godere di 1.503 “grassi” euro ogni mese…

L’esempio fatto, in ogni senso molto scolastico, non presenta un problema che riguarda solo gli insegnati, ma anche gli infermieri, giusto per citare una categoria di cui si lamenta spesso la carenza di offerta di lavoro, o anche tanti i lavori più o meno manuali, ma che richiedono un buon grado di specializzazione.

Il rischio è che nei prossimi anni vi sia una progressiva espulsione di abitanti/lavoratori dalla città, a spanne un centinaio di migliaia abbondante, con tutte le conseguenze del caso.

La soluzione? Di certo non mettere limiti arbitrari agli affitti, già ci provammo con l’equo canone e non andò molto bene, o vietare gli Airbnb, a New York dopo un anno di divieti i canoni a medio-lungo termine non sono diminuiti di un nichelino; quanto incentivare l’offerta di soluzioni accessibili: social housing, build to rent o simili.

A Milano sono sorti, o sono in corso di realizzazione, un buon numero di studentati. Tutti bellissimi, lussuosissimi e centralissimi. Molto simili, come ispirazione, ai campus americani… E altrettanto costosi. Ma la città non ha bisogno solo di questo. Servono capitali intelligenti, pazienti e anche pubblici per investire in soluzioni più abbordabili; serve collaborazione tra pubblico e privato. Serve una risposta dall’offerta alla domanda emergente dalla città e dai suoi nuovi aspiranti cittadini.

E serve che finalmente il governo dia risposta alla domanda dell’amministrazione locale, mettendo mano a una norma interpretativa che risolva l’impasse tra Palazzo Marino e Procura della Repubblica di Milano, consentendo al settore immobiliare e delle costruzioni di rimettersi in moto dopo un lungo periodo di blocco forzato, nella città che, a tutti gli effetti, resta il motore dell’economia e dell’innovazione del Paese.

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