Riqualificazione di siti brownfield fondamentale per la crescita dei data center

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L’Italia si sta affermando sempre più come hub strategico nell’infrastruttura digitale europea e, in questo contesto, lo sviluppo di data center diviene fondamentale. È un’evoluzione che promette di marcare un impulso significativo all’economia nazionale, generare nuove opportunità occupazionali e trainare l’innovazione tecnologica. Tuttavia, questa trasformazione ci pone di fronte a una sfida cruciale: come conciliare la crescente domanda di energia, elaborazione e archiviazione dati con l’impellente necessità di limitare il consumo di suolo e scongiurare l’ulteriore impermeabilizzazione del territorio?

Per ogni azienda di medie o grandi dimensioni che mira a espandersi in nuovi mercati risulta imprescindibile condurre una valutazione strategica approfondita. Una delle prime e più importanti decisioni riguarda la scelta del tipo di sito: “greenfield” o “brownfield”; ove ciascuna opzione presenta un distinto profilo di rischio e sfide specifiche. Per le strategie di sviluppo dei data center in Italia, questa decisione comporta implicazioni di particolare rilevanza strategica.

Il dilemma del greenfield: impatto ambientale e sfida normativa vs. apparente convenienza operativa

Tradizionalmente, lo sviluppo di nuovi data center – i quali che necessitano tipicamente di ampie superfici per accogliere server, sistemi di raffreddamento, infrastrutture elettriche e dispositivi di sicurezza – hanno privilegiato siti “greenfield”, ovvero terreni inedificati situati in zone suburbane o rurali. In particolare, le zone suburbane risultano particolarmente attraenti poiché si trovano generalmente in prossimità di infrastrutture preesistenti (elemento determinante per strutture ad alto consumo energetico); mentre le aree rurali, sebbene potenzialmente più distanti da tali reti, presentano il vantaggio di evitare gli oneri di bonifica frequentemente associati alle aree industriali dismesse, spesso caratterizzate da pregressi fenomeni di contaminazione.

Tuttavia, tale orientamento mette in luce una crescente tensione tra l’impatto ambientale e la presunta praticità operativa. L’edificazione su aree verdi comporta significative conseguenze ambientali, tra cui il consumo di suolo e l’impermeabilizzazione del territorio. Il paesaggio italiano, già sottoposto a pressioni dovute a cantieri, infrastrutture logistiche e impianti energetici, risulta esposto a rischi ambientali rilevanti e a una maggiore vulnerabilità territoriale. Considerando una domanda di servizi digitali in costante e inarrestabile crescita, l’adozione esclusiva di espansioni “greenfield” risulta insostenibile, entrando in netto conflitto con gli obiettivi di sostenibilità ambientale e con le politiche e normative di pianificazione urbanistica adottate in Italia in linea con EU Soil Strategy.

Riqualificazione di aree industriali dismesse: un percorso virtuoso per l’infrastruttura digitale del futuro

Per fronteggiare tali criticità, risulta imperativo che l’Italia adotti strategie di sviluppo che privilegino il recupero e la rigenerazione di siti precedentemente edificati. Il potenziale rappresentato dalle aree industriali dismesse sul territorio nazionale è considerevole. Un recente studio dell’ISPRA ha censito oltre 3.500 siti potenzialmente contaminati distribuiti in tutto il Paese, con circa 49.000 ettari attualmente sottoposti a procedure di bonifica. In Lombardia – regione strategica per le infrastrutture digitali – numerosi ettari di ex complessi industriali attendono una nuova destinazione. Molti di questi siti godono già di collegamenti a robuste infrastrutture elettriche, caratteristica che li rende candidati ideali per la riconversione in data center.

Questo significativo patrimonio di aree dismesse si coniuga perfettamente con il crescente fabbisogno italiano di infrastrutture digitali, rendendo la riqualificazione di tali spazi una soluzione strategica e sempre più indispensabile per lo sviluppo sostenibile del settore.

La riconversione di aree industriali dismesse implica la riabilitazione e il riutilizzo adattivo di ex siti industriali o commerciali attualmente sottoutilizzati o abbandonati. Tale approccio rappresenta pienamente i principi dell’economia circolare, offrendo molteplici benefici ambientali, sociali ed economici, inoltre riduce la necessità di ulteriore consumo di suolo, preservando preziosi ecosistemi naturali e rivitalizzando zone urbane degradate. Questi siti dispongono frequentemente di infrastrutture preesistenti, quali collegamenti di trasporto e reti di servizi, che riducono costi e complessità dello sviluppo. La riqualificazione consente inoltre di bonificare aree potenzialmente contaminate, migliorando la qualità ambientale complessiva e mitigando l’inquinamento pregresso. Una comunicazione efficace dei benefici di tali progetti alle comunità locali può significativamente ridurre le resistenze di tipo “Not In My Backyard” (NIMBY), favorendo l’accettazione sociale e rafforzando la sostenibilità dell’intervento.

Come superare le sfide specifiche nella riconversione di brownfield in data center

Nonostante i vantaggi evidenti, la realizzazione di data center in aree industriali dismesse comporta sfide specifiche, particolarmente rilevanti considerando i rapidi cicli di innovazione che contraddistinguono il settore. Numerosi siti necessitano di interventi di bonifica ambientale estesi e onerosi per rispondere ai rigorosi standard prestazionali richiesti dai data center all’avanguardia. Le strutture preesistenti in queste aree presentano spesso vincoli strutturali, quali limitazioni nell’altezza dei piani e nella capacità di carico, potenzialmente penalizzanti per l’efficienza energetica e la scalabilità dell’impianto. Tali circostanze possono rendere la demolizione e la ricostruzione all’interno dell’area dismessa un’alternativa più vantaggiosa rispetto al riutilizzo adattativo diretto. Va inoltre considerato che le normative in materia di tutela del patrimonio, paesaggio, ambiente e pianificazione urbanistica introducono ulteriori livelli di complessità nei processi autorizzativi e realizzativi, incrementando sensibilmente tempi e oneri amministrativi necessari per completare la riqualificazione.

Superare le resistenze: risposte concrete alle obiezioni sullo sviluppo di data center in aree dismesse

Nonostante le solide argomentazioni a favore della riqualificazione dei siti “brownfield”, gli stakeholder esprimono frequentemente legittime perplessità riguardo a questo approccio. Un confronto aperto e costruttivo con tali obiezioni risulta imprescindibile per promuovere efficacemente la strategia di recupero delle aree dismesse nel settore dei data center in Italia, trasformando potenziali resistenze in opportunità di miglioramento progettuale e consolidamento del consenso territoriale.

I critici frequentemente indicano i costi di bonifica come fattore economicamente proibitivo. Sebbene gli interventi di risanamento ambientale iniziali possano effettivamente comportare significativi investimenti di capitale, tale visione non considera il quadro economico nella sua interezza. Valutando i costi derivanti dai ritardi autorizzativi per i siti “greenfield”, il premium di prezzo per terreni vergini idonei nei mercati strategici italiani e la crescente disponibilità di incentivi per la bonifica, il divario economico complessivo si riduce considerevolmente. Va inoltre evidenziato che le aree dismesse godono spesso di accesso diretto alle infrastrutture elettriche preesistenti, elemento determinante considerando che i ritardi nella connessione alla rete per i nuovi sviluppi possono estendere significativamente la tempistica progettuale.

La questione del time-to-market richiede un’analisi approfondita. Sebbene la bonifica introduca indubbiamente una fase preliminare nelle tempistiche progettuali, questa prospettiva non considera i processi autorizzativi sottesi sempre più complessi e incerti che caratterizzano gli sviluppi “greenfield”. Recenti iniziative su sviluppi data center su “greenfield” hanno affrontato considerevoli rallentamenti autorizzativi, con alcuni progetti definitivamente abbandonati dopo anni di iter approvativi inconcludenti. Per contro, i progetti “brownfield” beneficiano frequentemente di procedure autorizzative più snelle, concepite per incentivare la rigenerazione urbana. L’amministrazione italiana prevede infatti semplificazioni procedurali per interventi di riqualificazione di siti industriali esistenti, potenzialmente riducendo i tempi complessivi di autorizzazione rispetto alle alternative “greenfield”, compensando così il tempo inizialmente dedicato alla bonifica.

I vincoli tecnici delle strutture preesistenti costituiscono una legittima preoccupazione per gli operatori di data center abituati a edifici progettati specificamente per le loro esigenze. Tuttavia, le metodologie odierne contemplano frequentemente interventi di demolizione selettiva all’interno del perimetro dell’area dismessa, preservando esclusivamente gli elementi strutturali più funzionali e procedendo alla ricostruzione secondo specifiche tecniche rigorose. Questo approccio ibrido consente di mantenere i benefici ambientali e i vantaggi autorizzativi della riqualificazione, minimizzando al contempo i compromessi tecnici e garantendo prestazioni ottimali dell’infrastruttura digitale.

Strategie efficaci per catalizzare l’interesse degli investitori

Nonostante le complesse criticità, si sta delineando un cambiamento significativo nelle dinamiche di mercato. Sebbene, storicamente, molti investitori immobiliari non specializzati nel settore dei data center abbiano privilegiato i progetti “greenfield” per la maggiore linearità nei processi di sviluppo e costruzione, diversi fattori determinanti stanno ora inducendo una profonda revisione di tale approccio, aprendo nuove prospettive per la valorizzazione delle aree dismesse.

Le amministrazioni nazionali e locali possono svolgere un ruolo cruciale offrendo incentivi mirati a progetti di data center in aree industriali dismesse. La diffusione dei significativi benefici derivanti dalla riqualificazione di tali aree può trasformare la percezione pubblica e stimolare gli investimenti. Inoltre, la promozione di partenariati pubblico-privato efficaci consente di condividere i rischi e valorizzare competenze specifiche, aumentando l’attrattività dei progetti “brownfield”. È fondamentale semplificare e velocizzare le procedure di approvazione e bonifica per ridurre il time-to-market, mentre l’integrazione di parametri di sostenibilità nei criteri di investimento favorirà in modo naturale soluzioni di riconversione. Parallelamente, l’adozione di normative più rigorose sull’uso del territorio, finalizzate a contenere l’espansione “greenfield”, indirizzerà fisiologicamente gli investimenti verso le opportunità di recupero delle aree dismesse.

Contestualmente, i quadri normativi e autorizzativi stanno evolvendo verso una maggiore rigidità a livello europeo. Di conseguenza, gli sviluppi “greenfield” si caratterizzano per un profilo di rischio progressivamente più elevato, con tempistiche di commercializzazione allungate e un’incertezza crescente riguardo agli esiti dei processi di pianificazione e al buon fine delle procedure autorizzative.

L’Italia si trova attualmente in una fase cruciale per la definizione del proprio futuro digitale. Sebbene i progetti “greenfield” abbiano tradizionalmente goduto di preferenza, attualmente si confrontano con significativi impedimenti nei processi autorizzativi e una crescente resistenza da parte dell’opinione pubblica. Con l’imminente piena attuazione della Strategia europea per salvaguardare il consumo di suolo, è prevedibile che tali progetti diventeranno progressivamente meno praticabili, in conseguenza di normative più stringenti sulla destinazione d’uso dei terreni e di requisiti ambientali più rigorosi.

Per contro, la riqualificazione delle aree industriali dismesse rappresenta un percorso strategico più resiliente e lungimirante, contribuendo alla riduzione del consumo di suolo, promuovendo la rigenerazione urbana e allineandosi pienamente ai principi dell’economia circolare. Tale approccio rappresenta altresì per gli Enti un’opportunità unica e di grande attualità per ottimizzare lo sviluppo delle infrastrutture digitali, in linea con gli obiettivi politici europei, integrando innovazione digitale e sostenibilità territoriale.

Attraverso questa strategia, l’Italia può assumere un ruolo di leadership nella trasformazione digitale, distinguendosi non solo per innovazione e competitività, ma anche per responsabilità ambientale e sociale, consolidando così la propria posizione di hub digitale sostenibile e all’avanguardia nel panorama europeo.

di Azzura Carone, senior consultant land ntelligence, Bcs consultancy

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