Niente accordo sul rimborso dei risparmiatori truffati coinvolti nelle crisi bancarie. Il Decreto crescita, approvato ovviamente salvo intese – guai a decidere qualcosa senza lasciarsi la possibilità di rimangiarsi tutto al primo stormir di sondaggio – è passato stralciando la parte più spinosa riguardante ex azionisti e obbligazionisti delle banche coinvolte nelle crisi degli scorsi anni e poi risolte.
L’attenzione dei media si è concentrata soprattutto sulla querelle politica, che ha visto la poltrona del ministro dell’economia, Giovanni Tria, in pericoloso bilico e ora tornata in equilibrio instabile. Il problema è però che un tal tipo di rimborsi, in estrema sintesi, non si può fare e una loro forzata approvazione rischierebbe di creare più danni che altro.
In primo luogo decidere se truffa c’è stata o meno sarebbe compito di un giudice, al termine di un procedimento che stabilisca responsabilità e a seguire l’eventuale rimborso. Non si capisce quindi la logica, anche giuridica, che porta a stabilire per decreto che tutti gli azionisti e gli obbligazionisti sono stati truffati.
In secondo luogo, la norma originale così come è circolata prima che tutto venisse bloccato prevedeva un rimborso parziale e differenziato per obbligazionisti subordinati e azionisti. Un altro non senso, che andrebbe a rompere ogni seniority, ossia l’ordine di rimborso dei diversi titoli in caso di fallimento o liquidazione di un emittente.
Ma ciò che è più grave alla base di questa idea di rimborso generalizzato è che l’investimento debba essere una scommessa sempre e comunque vincente, alla faccia della regola più elementare, e si credeva nota, relazione esistente tra rischio e rendimento.