Il numero di rifugiati a livello globale è quasi raddoppiato tra il 2005 e il 2016, passando da 12,1 a 23,1 milioni – l’aumento più consistente mai registrato.
Milioni di persone sfollate a causa dei conflitti (Palestina, Syria, Iraq e Afghanistan in particolare) hanno trovato rifugio in paesi, spesso confinanti, situati in zone climatiche aride e semi-aride, in molti casi caratterizzate da pesanti condizioni di scarsità idrica.
Fino ad oggi non era chiaro quale fosse l’entità della pressione dei rifugiati e quanta di essa sia dovuta alla domanda di cibo di queste popolazioni in fuga sui paesi ospitanti.
Il quadro è tracciato dal Politecnico di Torino, che annuncia lo sviluppo di un’analisi innovativa che quantifica le implicazioni dei flussi migratori per le risorse idriche e le possibili soluzioni per preservarle effettuata da Marta Tuninetti del Politecnico di Torino – Diati (WatertoFood lab) e dai ricercatori del Laboratory for coupled human water system, diretto dal professor Marc Muller della University of Notre Dame.
I risultati, riportati sull’articolo pubblicato da Nature Communications – Doi 10.1038/s41467-023-38117-0, dimostrano che l’aumento della domanda di acqua – pari a 31 km3 nel 2016 – si è concentrato principalmente in alcuni paesi tra cui Pakistan, Iran, Turchia, Libano e Giordania, ovvero in zone geografiche caratterizzate da livelli di scarsità d’acqua simili a quelli dei paesi di provenienza dei rifugiati.
Secondo lo studio, i paesi ospitanti tendono tipicamente ad avere sistemi produttivi più efficienti dal punto di vista idrico, diete caratterizzate da prodotti più idro-esigenti (ovvero con maggiore impronta idrica) e sistemi alimentari principalmente locali e poco dipendenti dal commercio internazionale.
In generale, spiegano gli autori, lo stress idrico associato all’aumento del consumo di cibo non è risultato essere un problema importante nella stragrande maggioranza dei ipaesi di destinazione dei rifugiati, compresa l’Unione Europea, ma è risultato invece avere profonde implicazioni soltanto per alcuni paesi. Ad esempio, si è scoperto che i movimenti di rifugiati hanno contribuito all’aumento dello stress idrico in Giordania fino al 45-75%.
“Sebbene le implicazioni appaiano minime nella maggior parte dei Paesi – spiega Tuninetti – il nostro studio suggerisce che esse possono dimostrarsi gravi nei Paesi che stanno già affrontando un elevato stress idrico o dove lo stress aumenterà in relazione agli effetti del cambiamento climatico. Questi paesi devono essere monitorati con particolare attenzione poiché tendono attualmente a fare affidamento prevalentemente sulle risorse idriche locali per la produzione alimentare. Il commercio globale potrebbe diventare in questo caso uno strumento per alleviare il potenziale stress idrico a cui alcuni Paesi sono sottoposti quando sono oggetto di importanti flussi di rifugiati e ridurre al tempo stesso la vulnerabilità dei sistemi alimentari locali a crisi idriche.”
I risultati mostrati nello studio forniscono un quadro chiaro ed esaustivo delle attuali implicazioni della migrazione dei rifugiati per le risorse idriche e offrono un supporto quantitativo in grado di orientare ed ottimizzare le politiche di asilo e reinsediamento dei rifugiati sviluppate da Unhcr (Un refugee agency).