A circa 40 anni dal referendum che ne sancì l’abbandono, l’Italia torna a discutere in modo propositivo dell’energia nucleare, spinta dalla necessità di rafforzare l’autonomia strategica e la sicurezza energetica del Paese e di accompagnare la transizione sostenibile con fonti di energia di nuova generazione. Il nuovo brief della Direzione strategie settoriali e impatto di Cdp, intitolato “Il dibattito sul nucleare in Italia: stato dell’arte e prospettive”, analizza lo scenario attuale e le potenziali implicazioni di un ritorno all’energia nucleare.
A livello globale, la generazione di energia nucleare è attesa in crescita nei prossimi anni, pur mantenendo stabile il proprio contributo al fabbisogno futuro di energia elettrica. Se nel 2023 erano in esercizio 410 reattori a livello globale, con una capacità complessiva di 371 GW e una produzione di 2.600 TWh, coprendo circa il 9% del fabbisogno (rispetto al 17,5% del 1996), le previsioni dell’International Energy Agency indicano una crescita fino a quasi 4.000 TWh nel 2030 e circa 5.500 TWh nel 2050, con un contributo significativo della Cina. Nonostante questa crescita prevista, si stima che il contributo del nucleare al fabbisogno energetico rimarrà stabile nei prossimi tre decenni, per poi ridursi al 7,7% nel 2050 a causa della crescita della domanda elettrica.
Nel contesto italiano, la rinnovata attenzione verso il nucleare è alimentata dalla volontà politica e dall’interesse degli operatori del settore. In questo scenario, è fondamentale interrogarsi sui fattori di incertezza finanziari, tecnologici e industriali che mantengono aperto il dibattito. Un punto di forza per l’Italia risiede nelle competenze rilevanti lungo quasi tutta la supply chain del nucleare, con circa 70 aziende specializzate nel settore, a testimonianza di una forte proiezione internazionale. Inoltre, il Paese vanta una ricerca all’avanguardia nel campo.
Il ritorno al nucleare in Italia è strettamente legato alla disponibilità effettiva delle tecnologie più recenti, in particolare quelle di terza generazione avanzata come gli Small Modular Reactor (SMR). Questi impianti di dimensioni ridotte potrebbero diventare operativi già all’inizio del prossimo decennio. Gli SMR offrono potenziali vantaggi in termini di riduzione delle emissioni climalteranti, minori tempi di costruzione con conseguente miglior finanziabilità, maggiore sicurezza e la possibilità di cogenerazione per uso industriale o produzione di idrogeno verde.
Tuttavia, permangono notevoli incertezze riguardo ai costi di investimento complessivi delle nuove centrali, attualmente in fase di sviluppo. Oltre ai costi elevati tipici della generazione nucleare, inclusi quelli per il decommissioning, si aggiungono le incertezze legate agli aspetti tecnologici e regolatori, nonché la necessaria accettazione pubblica.
Per favorire un contributo effettivo del nucleare al mix elettrico italiano in tempi brevi, è cruciale l’implementazione di un quadro normativo e di incentivi che rendano attraente investire sulle capacità industriali del Paese, incluse quelle esistenti convertibili al nucleare, e sulla ricerca. È altresì importante ricorrere a finanziamenti e programmi di cooperazione europea, sfruttando anche le opportunità offerte dalla nuova disciplina UE sugli aiuti di Stato.