Il monumento del futuro: perché alcuni grattacieli diventano storia e altri no

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Che cosa trasforma un edificio in un monumento storico? Perché alcune strutture catturano l’immaginario collettivo, mentre altre cadono nell’oblio? Per rispondere, partiamo da un esempio iconico: il Fuller Building di New York, noto ai più come il Flatiron. La sua silhouette triangolare e slanciata è diventata un simbolo della città e, più in generale, di un’epoca di innovazione architettonica. Ma ciò che lo ha reso storico non è solo l’estetica, bensì il contesto culturale e sociale in cui è stato costruito: un’America modernista in ascesa, alla ricerca di nuovi linguaggi architettonici per raccontare il proprio futuro.

In Italia spesso si sente dire che luoghi come Dubai non hanno storia, ma alla luce dell’esempio citato di sopra, quest’affermazione non regge. Ogni città è immersa in una narrazione più grande: quella della storia globale. Anche Dubai, con i suoi grattacieli futuristici, non è altro che un capitolo contemporaneo di questa narrazione. Se la storia è il continuo spingersi verso nuove vette, allora il 4 gennaio 2010 rappresenta una data chiave: l’inaugurazione del Burj Khalifa, il primo grattacielo a superare sia i 700 sia gli 800 metri d’altezza, stabilendo un record che, quattordici anni dopo, ancora resiste.

Costruire una struttura così maestosa non è solo una prova di ingegneria, ma anche un atto di visione. Dubai, in tal senso, è un laboratorio urbano e architettonico per le città del futuro. È qui che si sperimentano i modelli che plasmeranno il mondo a venire. Per noi italiani, questo dovrebbe insegnarci a guardare oltre i nostri confini con maggiore rispetto. Se vogliamo riaffermarci come innovatori della storia, dobbiamo anche riconoscere i traguardi del resto del mondo.

Il grattacielo stesso, percepito spesso come elemento incongruo con il territorio e la storia italiana, non è affatto estraneo alla nostra cultura. Anzi, è un’idea che appartiene alla nostra identità storica. Basta tornare alla Bologna medievale per scoprire come le città- modello del Rinascimento si distinguessero per le loro torri, vere e proprie “antenate” dei grattacieli moderni, tra cui la Torre degli Asinelli, che raggiunge quasi 100 metri di altezza. Dante stesso, nella Divina Commedia, cita la Torre della Garisenda, descrivendola con una maestria poetica: “Come la torre della Garisenda appare a chi la guarda da sotto, quando una nuvola le passa sopra”.

Forse, allora, il problema non è che gli italiani non abbiano mai sognato in verticale, ma che si siano dimenticati di come farlo.

Dubai, con il suo dinamismo e la sua capacità di reinventarsi, è l’emblema di una città globale, capace di scrivere una storia proiettata verso il futuro. È una lezione che l’Italia, accecata dalla luce del proprio passato, non può più ignorare. Non possiamo continuare a guardarci i piedi, prigionieri della nostalgia. Se davvero vogliamo tornare a essere protagonisti della storia, dobbiamo alzare lo sguardo, imparare da chi ha il coraggio di osare e andare avanti, unendo la grandezza della nostra eredità alla visione di un domani ancora da costruire.

di Giulio Grilli Ciciloni, art director presso Standpoint Real Estate

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