La rapida espansione dell’intelligenza artificiale ha favorito la sua adozione in un numero crescente di settori, generando un’ampia fiducia nel suo potenziale a beneficio delle imprese. Tuttavia, parallelamente all’effettivo impiego dell’IA, si è diffuso in maniera crescente il fenomeno distorsivo del c.d. “AI washing” (AIW): pratica ingannevole di marketing che sfrutta l’attenzione mediatica sull’intelligenza artificiale per fuorviare consumatori, clienti ed investitori ed orientarli ingannevolmente nelle loro scelte.
Infatti, nella corsa alla trasformazione digitale, molte aziende – fornitrici di consulenza, prodotti o servizi – hanno iniziato ad amplificare o a distorcere le dichiarazioni relative all’adozione dell’IA nei loro processi, attribuendosi impropriamente l’utilizzo di strumenti avanzati, come il machine learning o le tecniche di data science, per ottimizzare le proprie attività. In tal modo viene falsato il livello di utilizzo di tecnologie intelligenti, ricorrendo frequentemente all’abuso del termine “AI” nell’ambito della comunicazione aziendale, esagerando la portata effettiva dell’intelligenza artificiale nei processi di business, che invece utilizzano metodi tradizionali o funzioni di base. Si attribuisce così un’aura tecnologica a prodotti o servizi che, in realtà, non si fondano sull’intelligenza artificiale, producendo un effetto pubblicitario accattivante ma privo di riscontri concreti e aggiornamenti tecnologici effettivi, che invece sussistono nelle imprese realmente attive nel campo dell’IA.
Le implicazioni etiche e legali per le imprese
Questo fenomeno sta attirando l’attenzione crescente di autorità regolatorie e consumatori, configurandosi come un problema etico e giuridico rilevante, in un contesto in cui l’adozione di tecnologie algoritmiche è in forte crescita. Esso, infatti, genera disinformazione e sfiducia nel mercato e presenta implicazioni etiche significative. Infatti, la finalità di tale pratica è chiara: fuorviare il mercato, alimentando aspettative tecnologiche irrealistiche che non trovano riscontro nella realtà operativa dell’impresa e che, quando emergono, possono creare confusione e sfiducia più in generale sulla effettiva utilità e portata delle nuove tecnologie anche nei confronti di chi davvero le utilizza per migliorare i servizi offerti.
>Ciò ha portato a una crescente consapevolezza da parte degli attori dell’ecosistema dell’intelligenza artificiale, sia in merito al rischio rappresentato dall’utilizzo improprio dell’etichetta “AI” per identificare prodotti, servizi o processi che non incorporano in modo significativo tecnologie intelligenti, sia in merito alla necessità di trasparenza nell’impiego delle tecnologie, non solo per garantire la conformità normativa da parte delle aziende, ma anche per consolidare la fiducia della clientela.
Verso una regolamentazione più severa sull’uso dell’IA
A oggi, i casi accertati e le sanzioni già comminate alle imprese per la pratica dell’AI washing, soprattutto negli Stati Uniti, attestano l’emergere di una tendenza regolatoria più rigorosa e attenta. In particolare, l’autorità di vigilanza americana SEC (Securities and Exchange Commission) ha comminato sanzioni rilevanti ad imprese che hanno promosso in modo ingannevole l’uso di intelligenza artificiale nei propri prodotti, violando i doveri di trasparenza verso i consumatori.
Le misure adottate non solo hanno comportato sanzioni pecuniarie, ma hanno segnato un importante precedente sull’intervento delle autorità nei casi di comunicazioni fuorvianti sull’adozione di IA, che pone in luce l’importanza di normative specifiche, orientate a garantire correttezza, etica e tracciabilità nell’uso delle tecnologie intelligenti. È, dunque, opportuno che anche nel nostro mercato le Autorità preposte adottino un approccio stringente, affinché il ricorso a sistemi algoritmici avvenga in modo conforme, responsabile e realmente innovativo, evitando comunicazioni fuorvianti che minino la fiducia nel mercato e danneggino lo sviluppo sostenibile delle tecniche di intelligenza artificiale.
di Antonio Ferraguto ed Elisa Varisco – La Scala società tra avvocati