Il cemento ecologico è molto più di una sfida economica

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L’industria del cemento è responsabile dell’8% delle emissioni globali di CO2, una cifra impressionante che richiede un’azione urgente, soprattutto perché il 2024 ha segnato il primo anno in cui il pianeta ha superato il limite di riscaldamento globale di 1,5°C.

La World cement association (Wca) prevede che la domanda globale di cemento scenderà a circa 3 miliardi di tonnellate annue entro il 2050, mentre la domanda di clinker (componente del cemento) potrebbe diminuire ancora più rapidamente, attestandosi a soli 1,5 miliardi di tonnellate annue.

Il clinker si ricava principalmente da argilla e calcare ed è proprio questo materiale il responsabile numero uno dei costi ambientali del cemento (il 90% delle emissioni arriva dalla sua produzione), tanto che le alternative guardano tutte alla riduzione della sua quota nel cemento.

Secondo il white paper della Wca, la transizione verso carburanti a basso tenore di carbonio potrebbe ridurre le emissioni specifiche di carburante per tonnellata di clinker di quasi il 70% entro il 2050. 

Si tratta di una percentuale notevole, che aiuterebbe a raggiungere l’obiettivo europeo di un cemento a zero emissioni al 2050 data entro cui, secondo il PoliMi, saranno necessari tra i 3,6 e i 6,8 miliardi di euro di investimenti per l’installazione degli impianti di sola cattura di CO2 nel cemento, senza considerare lo sviluppo dell’infrastruttura di trasporto e stoccaggio.

Low anziché zero

Per il momento la parola zero è sostituita da low, quindi low clinker, low emission e low carbon, tutte sigle che indicano i prodotti attualmente disponibili sul mercato.

Queste proposte vengono accompagnate da Epd (Dichiarazione ambientale di prodotto) da rendiconti dei potenziali impatti ambientali mediante l’applicazione della metodologia Lca (Life cycle assessment), che permettono di dimostrare la sostenibilità del materiale.

Ma nulla è gratis, la ricerca ha un costo e, attualmente, le imprese più impegnate in questo verso sono colossi come Heidelberg Materials (ex Italcementi) con il suo hub al Kilometro Rosso,  Holcim con il cemento a ridotto contenuto di clinker dosato e la svedese CemVision che promette un cemento più sostenibile del 95% tanto da avere chiuso un round di finanziamento da 10 milioni di euro tra i cui investitori figurava anche la Breakthrough Energy di Bill Gates.

Per il green costi di produzione fino al +230%

Secondo il report Zero carbon technology pathways dell’Energy&strategy del PoliMi, nell’analisi dell’impatto del costo della CO2 sul costo di produzione del cemento si nota come, in assenza di impianti di cattura, un produttore di cemento si ritroverebbe a dover fronteggiare costi aggiuntivi, dovuti alle quote di emissione del meccanismo EU ETS, pari a circa 82 €/t cemento, rispetto a una media attuale dei costi di produzione pari a circa 61 €/t (+130%).

Il costo aggiuntivo in caso di cattura e stoccaggio della CO2 porta a un incremento dei costi di produzione più elevato dal +150% al 230%, con un peso notevole dovuto alle fasi di trasporto e stoccaggio, che sono anche estremamente variabili. 

Anche escludendo le fasi di trasporto e stoccaggio, immaginando per esempio incentivi a copertura delle fasi di gestione della CO2 a valle della produzione del cemento, la cattura della CO2 pone seri dubbi sulla sostenibilità economica dell’abbattimento delle emissioni, visti gli impatti che essa avrebbe sul prezzo finale del prodotto e di conseguenza sulla domanda di mercato.

E qui si crea molto più di una sfida economica, perché un cemento più costoso porterebbe ad aumentare le spese di acquisto del materiale da parte delle imprese di costruzioni e a un inevitabile rincaro dei prezzi per i consumatori finali.

In un’era priva di incentivi edilizi e dove i dati Ance parlano di una prospettiva del -30% di ristrutturazioni residenziali in Italia nel 2025, il cammino verso l’uso di materiali da costruzione più sostenibili si rivela, ancora una volta, in salita.

 

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