Con la sua forza ed energia, talvolta illogica e contradditoria, ma sicuramente innegabile, Milano continua ad accogliere tra le sue braccia decine di migliaia di giovani: molti provengono da tutta Italia, ma un numero sempre crescente di persone è nato anche all’estero, come il 34enne argentino Gonzalo Fernandez, originario di Córdoba e oggi marketing manager per Exomindset, azienda di tecnologia con sede in Argentina, Florida e Spagna che crea e sviluppa software, soluzioni di gestione dati e intelligenza artificiale.
Nonostante la giovane età, Gonzalo è una persona che ha vissuto in tanti luoghi. Nato e cresciuto a Córdoba, dove consegue la laurea triennale in Relazioni internazionali presso l’Università Cattolica, vive a San Francisco per un interscambio accademico di un anno per poi rientrare in madrepatria per alcune stagioni. Qui ottiene la laurea magistrale, che completa gli studi triennali, e compie l’ingresso nel mondo del lavoro, più esattamente nel reparto di comunicazione interna in un azienda tech.
Dopo tre anni, però, la sua mente lo porta a cercare un nuovo inizio ed è la volta di Budapest, dove risiede per due anni e mezzo lavorando come digital marketing manager in memoQ, azienda tecnologica con base in Ungheria. Poi il secondo ritorno a Córdoba: qui per tre anni può stare vicino alla famiglia con la possibilità di lavorare da remoto. Ma il desiderio di cambiamento ha sempre fatto parte di Gonzalo, ed è in questo momento che ha inizio una carriera da freelance come consulente digitale per aiutare le aziende del settore language industry e tech a migliorare il posizionamento sul mercato e le strategie di lead generation. Le cose vanno meglio del previsto: in breve tempo aumentano i clienti, i collaboratori e, soprattutto, le connessioni internazionali. Nel 2019 l’ennesima partenza (per adesso l’ultima), e Milano è scelta come la meta del futuro: “Muoversi così tanto è stato bello e costruttivo ma anche stancante. Adesso che sono a Milano da cinque anni non sento più l’esigenza di trasferirmi. Qui ho trovato la mia dimensione e sto molto bene, anche per la vicinanza linguistica e culturale con l’Argentina”.
Domanda: Benvenuto Gonzalo. Ripercorrendo la tua storia abitativa, quali sono state le case più importanti della tua vita prima di traferirti a Milano?
Risposta: Sicuramente la casa della mia famiglia a Córdoba, dove sono cresciuto e ho ricevuto l’educazione dai miei genitori. Siamo una famiglia numerosa, ho un fratello e due sorelle. È sempre stata una casa piena di gioia, di amici, con tantissime persone che venivano a mangiare, bere e passare del tempo con noi. Ancora oggi, quando ritorno, è così. È la casa più bella che ho avuto. È una villa molto grande, con una piscina e tanto spazio per ospitare le persone. Si trova nella periferia della città, in un punto che segna la fine della pianura e l’inizio della catena montuosa Sierras: da casa si vede tutta la montagna. È il mix perfetto tra città e natura. Quando da bambino uscivo di casa, camminando o andando in giro in bici, vedevo animali come iguane, tarantole e altri animali selvaggi. Purtroppo negli ultimi anni la gentrificazione è arrivata anche nel mio quartiere e la natura si è tirata indietro, ma io ho avuto la fortuna di vivere un’infanzia semplice e immersa nel verde, giocando sempre all’aria aperta e circondato da tanti amici. Sono molto grato di questo.
Un’altra casa che ho sentito come mia è il dormitorio di San Francisco, durante il mio anno di interscambio accademico. Avrei dovuto essere in una stanza doppia, ma il mio coinquilino praticamente non è mai venuto, quindi avevo sempre un letto in più per ospitare i miei amici e chi veniva a trovarmi. Solitamente i dormitori sono dentro i campus, ma noi da studenti internazionali siamo stati collocati al di fuori delle strutture universitarie. In questo modo abbiamo potuto conoscere ed esplorare la città. Vivendo dentro il campus, invece, la nostra vita sarebbe stata ghettizzata. È stata un’esperienza molto bella per me. Ho vissuto con studenti da tutto il mondo. Eravamo una grande comunità, stavamo sempre insieme, giocavamo a carte, facevamo gite nella città e nei dintorni. Oggi non li vedo più, ma sono stati importanti perché hanno reso l’esperienza americana forte e viva. Però in America non ci vorrei più vivere. Da bambino e da ragazzino ero innamorato degli States. Vivendoci, ho cambiato opinione. Non è il posto per me, non mi piace il loro stile di vita, il loro focalizzarsi così tanto sul lavoro e sul denaro. Non sto dicendo che non siano cose importanti, sono cose fondamentali anche nella mia vita, ma laggiù il modo di pensare gira troppo intorno a questo. La persona non è al centro. Il dollaro, il mercato è al centro. E per me non va bene. Per me è importante abbinare e far convivere pacificamente tutte le sfere della nostra esistenza: vita culturale, emotiva, sociale e lavorativa. In America non ho visto un grande equilibrio. E sono capitato a San Francisco, che non è così estrema in quello che sto dicendo.
D: Quali sono i tuoi ricordi legati a Budapest?
R: C’è una terza casa a cui sono molto affezionato, ed è l’appartamento che ho affittato nei miei due anni e mezzo a Budapest. Si trovava nel centro città, nel Distretto Sette, che è il quartiere ebraico, pieno di storia e con dei palazzi bellissimi. Ero in una casa gigantesca in condivisione con altre persone. All’epoca, poi, gli affitti costavano pochissimo, circa 150 euro al mese. Ho vissuto con ragazzi bulgari, turchi, italiani, croati. Quella casa l’ho sentita davvero come se fosse mia, mi sentivo molto bene e mi piaceva tanto. Ricordo che ero anche facilitato negli spostamenti, perché il tram 4-6, che funziona 24 ore su 24, fermava proprio sotto casa e così potevo girare anche la notte. Uscivo molto, Budapest era piena di bar e la birra costava 1 euro. Per me che ero all’inizio di carriera era perfetto: riuscivo a divertirmi senza spendere troppi soldi. E poi volevo staccarmi dall’ala dei miei genitori. Ero da solo e dovevo cavarmela. Il periodo e la casa di Budapest sono stati importanti anche per questo: hanno rappresentato la conquista dell’indipendenza, dell’autonomia, del pensarmi fuori dalla protezione dei miei genitori.
D: Come mai hai deciso di trasferirti in Italia e come mai hai scelto Milano?
R: Sono tanti i motivi per cui ho scelto Milano e l’Italia. All’inizio è stato per amore, anche se poi le cose hanno preso una direzione diversa. Ma l’Italia mi è piaciuta subito. La vicinanza culturale con il mio Paese mi ha fatto sentire a casa, così come la possibilità di fare amicizie velocemente, cosa che non avevo sperimentato né in America né a Budapest. Milano poi mi ha sempre dato tantissime opportunità lavorative, facendomi crescere in breve tempo. Inoltre, avendo un bisnonno italiano emigrato in Argentina a inizio Novecento, grazie allo ius sanguinis ho potuto ottenere la cittadinanza italiana. Non dico che questa sia stata una motivazione per venire qui, ma essendomi trovato così bene in Italia mi sono sentito fortunato a poter sfruttare l’occasione.
Appena arrivato a Milano, però, non è stato semplice. Ho dovuto fare tante cose a livello burocratico, inserirmi nel mondo del lavoro e imparare la lingua, ma poi al momento di richiedere la cittadinanza è stato facile: avevo i documenti in regola e mi ero perfettamente integrato nel sistema italiano.
D: Parli benissimo in italiano. Come hai imparato la nostra lingua?
R: Grazie. L’italiano l’ho imparato frequentando le lezioni del Comune di Milano, che offre ottimi corsi di lingua per gli stranieri. Forse il covid, nonostante tutte le difficoltà, in questo mi ha aiutato. Sono arrivato a Milano ad agosto del 2019 e dopo sei mesi è arrivata la pandemia. Chiusi in casa, non si poteva uscire e fare niente, quindi ho approfittato della situazione per studiare e imparare l’italiano. Sono partito dal livello A2 e in tre anni sono arrivato ad avere il C1. La lingua è fondamentale. A Budapest vivevo in una comunità di persone internazionali e comunicavamo in inglese, ma frequentavo sempre gruppi di espatriati. Arrivato a Milano, invece, mi sono sforzato di imparare la lingua, perché avevo capito che la lingua avrebbe rappresentato l’unico modo per fare amicizie con la gente del posto e inserirmi nella cultura italiana. Se non conosci la gente della città in cui vivi non è la stessa cosa. Vivi a metà, in una bolla che manca di tutto il suo sapore. A Budapest mi è successo questo. Ero giovane e mi interessava di più viaggiare e fare esperienze, ma non è stato facile accettare che ero riuscito a diventare amico soltanto con una persona di nazionalità ungherese. In Italia, invece, ho cambiato mentalità e mi sono messo a studiare, anche perché la lingua è molto più semplice dell’ungherese. Non potevo lasciarmi sfuggire questa occasione: la lingua è lo strumento per creare rapporti e farsi conoscere. Se non crei rapporti locali, vivi in un posto che non è tuo. Io la penso così. La lingua è importantissima anche per entrare nello spirito del Paese, conoscere la situazione politica, sentire di che cosa parlano gli italiani, di che cosa si preoccupano. Se non sai tutto questo, come puoi sentirti parte di un luogo in cui dici di abitare?
D: Dal punto di vista del lavoro, in che cosa italiani e argentini si assomigliano? E in che cosa sono diversi?
R: La vicinanza culturale è tanta, non soltanto nella lingua ma anche nel sangue. Fino a cent’anni fa c’è stata una grandissima immigrazione di italiani in Argentina. Oltre il 50% di noi argentini ha origini italiane. Io stesso ho un bisnonno emigrato dall’Italia nel mio albero genealogico, come ti dicevo. Questa influenza si fa sentire anche nel modo di vivere il lavoro. Gli italiani hanno instaurato nel nostro Paese una fortissima vocazione per l’imprenditoria. In questo siamo molto simili. Qui in Italia c’è più focus intorno al design, al cibo, alla moda, mentre in Argentina puntiamo molto nell’industria agricola e ultimamente nella tecnologia. Ma questo spirito imprenditoriale è davvero simile. Anche l’Argentina ha la sua forza nelle piccole e medie imprese. In entrambi i Paesi, inoltre, il lavoro è uno strumento sociale, un mezzo per costruire rapporti umani. Anche l’Argentina, inoltre, è molto diversificata al suo interno. Se Milano e il Sud Italia sono diversi nella cultura del lavoro, lo sono anche Cordoba e Buenos Aires. A livello di differenze, invece, la cosa si fa decisamente più divertente. In Argentina, per esempio, non si fa l’aperitivo dopo lavoro, e neanche la pausa pranzo è così sacra come in Italia. E poi tutti i vostri caffè e le pause caffè! A volte, soprattutto all’inizio, mi sembravano cose ridicole. Noi però beviamo il mate, quindi ognuno ha le sue! Ma a me piacciono tutte queste differenze, perché rendono una cultura unica. E poi qualcosa ho assorbito dalle abitudini degli italiani. Adesso bevo un caffè ogni mattina, a cui aggiungo circa un termos di mate al giorno. È amaro il mate. Da piccolo non mi piaceva, ma poi diventa un gusto acquisito come la birra o come il vino.
D: In che modo italiani e argentini vivono invece la casa?
R: Anche in questo siamo simili. Per noi argentini la casa rappresenta la famiglia e l’ospitalità, ed è una cosa stupenda, che avete anche qui in Italia. Voi italiani siete molto predisposti ad aprire le porte delle vostre case alle persone. In Italia ho amici che dal giorno uno mi hanno invitato a cena, facendomi sentire parte della loro vita e delle loro storie. La casa è un momento in più per socializzare e stringere amicizie. Invece in altre nazioni non ti invitano a casa con così tanta semplicità. Le differenze tra i due Paesi riguardano più gli spazi. In Italia, soprattutto per la densità del Paese, le persone vivono in appartamenti. In Argentina, invece, è più facile che le persone vivano in case un po’ più grandi (e dico “case”, non “appartamenti”), con un giardino o piccoli spazi all’aperto. Anche la gente più umile può avere spazi abitativi di questo tipo, non è solo una prerogativa per i benestanti. Ma il discorso è connesso con la densità della popolazione: tutta l’Italia è grande quanto la provincia di Buenos Aires. Solo che noi, in tutto il paese, siamo in 40 milioni. Voi in 60. Capisci che c’è una differenza di percezione degli spazi che è radicale. In Italia è tutto costruito, si vede anche dall’aereo: ci sono case ovunque. In Argentina ci sono intere distese di terra disabitate e pervase dalla natura.
D: Quali sono i tuoi piani per il futuro? Dove vorresti vivere e in quale tipo di casa?
R: Per il momento voglio restare a Milano. Qui sono nella stessa casa dal 2019, un trilocale vicino al Politecnico. Appena arrivato era un ambiente vuoto, che ho dovuto riempire, arredare e rendere mio. E ho vissuto, in questi cinque anni, con tre persone diverse, una dopo l’altra. Adesso però ho sentito l’esigenza di avere i miei spazi e ho appena comprato casa a Nolo, dove mi traferirò a inizio novembre. Volevo rimanere nella zona dove ho sempre vissuto, che mi piace molto, con la possibilità di continuare a lavorare da casa. Per me la casa è anche questo, una specie di ufficio. Ma per come penso la vita, comprare casa in un posto non è qualcosa che mi lega. Se vorrò andarmene me ne vado. Al momento, però, non sento alcun desiderio di partire, anche perché so quanto è difficile iniziare una vita da zero in un paese straniero. Me la voglio godere, la vita. Perché cambiare? Sto bene, ho tanti amici, mi piace il mio lavoro e la mia città. E poi una cosa che ho imparato è riconoscere e apprezzare i momenti di felicità. Non ha senso focalizzarsi su quello che manca. Dobbiamo invece ringraziare per tutto quello che abbiamo ed esserne grati. Non è stato facile arrivare qui e costruire la mia vita, e oggi riconosco questo periodo come un periodo di felicità. Non so quanto durerà, nulla è certo. Ma forse è proprio questa imprevedibilità che rende ogni momento degno di essere vissuto.