Con il vecchio sisma bonus rigenerare era meglio che curare

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Sui 504 mila attestati di prestazione energetica registrati nella capitale (91% di tipo residenziale), 292 mila sono riferiti a immobili costruiti in una fase antecedente al 1976, anno della prima legge nazionale sul contenimento dei consumi energetici, e, inoltre, 324 mila immobili si trovano nelle ultime due classi energetiche (F e G), solo il 6,1% in classe A.

Il confronto di Roma con Milano è decisamente sbilanciato a favore della provincia meneghina dove già oltre il 13% degli immobili, su un totale di 518 mila Ape registrati (83,2% residenziale), si trova in classe A (A4, A3, A2 e A1), mentre la porzione relativa alle ultime due classi è di poco inferiore al 40%.

Il quadro arriva dall’osservatorio Cam e riflette quello nazionale: in Italia ci sono quasi 600 case ogni mille abitanti (fonte Istat) e il 68,5% delle abitazioni hanno una classe energetica compresa tra la E e la G. 

Urge ristrutturare, ma il nodo resta sempre quello dei fondi per farlo.

E mentre imprese, enti e società sono concordi sul fatto che serva l’aiuto dello stato, il punto sta sul come erogarlo.

Il sisma bonus, almeno per le aree fragili

Nel 2019 erano state ampliate le zone a rischio sismico che potevano usufruire di importanti sgravi fiscali per chi acquistava abitazioni che venivano dalla demolizione di un edificio in disuso e la ricostruzione di un nuovo edificio di abitazioni.

La legge dava la possibilità a chi acquistava abitazioni antisismiche frutto di demolizione e ricostruzione, di beneficiare di uno sgravio fiscale del 110% su un valore massimo ad alloggio di 96mila euro.

Questo sgravio poteva essere detratto dalla dichiarazione dei redditi, oppure ceduto alla società realizzatrice con lo sconto in fattura. In questo modo l’alloggio veniva scontato di 96mila euro, e lo sconto incideva alquanto su appartamenti di taglio piccolo – dal valore di 240-250mila euro, permettendo un acquisto anche a 144-154 mila euro. Si trattava di una situazione rara a Roma e accessibile anche ai redditi più bassi.

Questa possibilità rendeva inoltre più semplice l’accesso al mutuo per acquisto, che poteva raggiungere anche il 100% della spesa, in quanto l’alloggio viene rogitato per 250mila euro, ma con lo sconto in fattura, il residuo di 154 mila euro poteva essere mutuato al 100%.

Questo era il quadro nel 2022 e ora, a due anni di distanza e con lo stop al sisma bonus maggiorato e il taglio al 36%, la proiezione non sta più in piedi.

Eppure la spesa dello stato per la ricostruzione post terremoto è enorme: “Dal 1968, anno del terremoto del Belice, ad oggi, l’esborso a carico dello Stato per la ricostruzione degli immobili danneggiati – ha aggiunto il Commissario – è stato enorme. Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri, sulla base degli atti parlamentari, calcolava nel 2014 un costo complessivo di 121 miliardi di euro. Questa somma, rivalutata ai prezzi correnti, è pari a 159 miliardi di euro, cui si devono aggiungere almeno 27 miliardi di euro per i danni causati dal sisma del Centro Italia del 2016, ed altri 5 miliardi dovuti ai maggiori costi del sisma del 2009. In totale, a prezzi correnti, sono 191 miliardi di euro di danni in 54 anni.  

La spesa effettiva sostenuta fino a questo momento è stata di 165 miliardi di euro, ovvero di 3 miliardi di euro l’anno”. Queste le parole del commissario straordinario di governo per la ricostruzione post sisma 2016 in Italia centrale, Giovanni Legnini 

Per Angelo Marinelli di Cam Spa, anziché spendere 3 miliardi in ricostruzione lo stato ne investisse anche mezzo nella proroga del sisma bonus si potrebbe lavorare sulla rigenerazione delle case nelle aree più fragili. 

“Come costruttori abbiamo ormai la precisa responsabilità di coniugare edilizia e sostenibilità – commenta Marinelli, amministratore unico di Cam group -, è un binomio imprescindibile che privilegia i processi di rigenerazione urbana, quindi anche la trasformazione di edifici fatiscenti in immobili nuovi ed efficienti, senza che questa azione comporti un ulteriore consumo di suolo. 

Esiste una precisa necessità di rinnovamento del parco immobiliare pubblico e privato che oggi pesa sull’ambiente in maniera importante ma il lavoro da compiere è davvero impegnativo e crediamo che, da parte dello Stato, occorra ragionare in maniera costruttiva su un nuovo piano di incentivi per la casa che possa agevolare l’acquisto del nuovo ad alta efficienza energetica”.  Conclude Marinelli.

Un aiuto dalle polizze?

A seguito dell’alluvione che ha nuovamente colpito i territori dell’Emilia Romagna, parte dello stato l’obbligo di assicurare gli edifici contro i danni catastrofali, in particolare le imprese.

Secondo la ricerca Emg different per Facile.it i danni delle calamità naturali subiti dalle imprese nell’ultimo anno ammontano a 3 miliardi di euro e dall’indagine emerge che sono pochissime le aziende a conoscenza della norma che il governo vuole attivare, appena 2 su 10.

Inoltre, finora c’è una bassa propensione da parte di micro e piccole imprese italiane a sottoscrivere prodotti assicurativi per tutelarsi dalle calamità naturali; appena il 6,2% del campione intervistato ha dichiarato di avere già una polizza contro terremoti, inondazioni, alluvioni, esondazioni e franamenti. 

A questo insieme, si aggiunge un 4% che, invece, ha detto di essere coperto solo parzialmente. Ancora una volta, sono le microimprese ad essere meno sensibili al tema e, tra loro, il 92% ha ammesso di non avere alcun tipo di copertura contro le calamità naturali, mentre tra le piccole imprese la percentuale di chi è completamente scoperto scende al 45%. A livello territoriale, invece, sono le aziende nelle regioni del Sud Italia e nelle Isole ad avere meno copertura.

E le case?

In Italia solo circa 2 milioni, il 5,9%, le case coperte da un’assicurazione o da una polizza contro catastrofi naturali  e al sud la percentuale è ancora più bassa e scende sotto al 2% .

Eppure, secondo l’Ania  il 75% delle abitazioni italiane è esposto al verificarsi di un evento di questo tipo, con un’elevata concentrazione proprio nelle zone classificate ad alto rischio. In particolare, per quanto riguarda il rischio sismico, risulta che circa il 37% delle abitazioni civili è situato nelle zone a più alta pericolosità; questa percentuale sale poi a quasi il 50% quando si considera il rischio alluvionale.

Peraltro, il 75% delle stesse abitazioni è esposto ad almeno uno dei due rischi analizzati a causa dell’estrema vulnerabilità del territorio.

Il quadro, quindi, è quello di un parco residenziale vetusto, purtroppo soggetto a rischi catastrofali in molte porzioni del territorio.

La domanda su come il governo attuerà la direttiva Case grbeen diventa stringente, perché non si tratta più solo di rigenerazione urbana, bensì di salvaguardia della popolazione.

 

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