Veneziano classe 1995, Sebastiano Cognolato è presidente e co-fondatore di Venice Calls, associazione di giovani volontari che nasce con l’obiettivo di creare progetti sostenibili nella città a livello culturale, sociale e ambientale.
Sebastiano, di cui sono stato compagno di classe al liceo per circa un anno, conosce Venezia in un modo profondo e unico, pieno di amore e solenne rispetto. Ricordo spesso le passeggiate insieme a lui, soprattutto quelle nel silenzio della notte: in ogni angolo di città sapeva sempre individuare uno scorcio di bellezza e incanto. Così ci fermavamo ad ammirare Venezia e parlavamo delle nostre vite. I suoi racconti si intrecciavano con la storia millenaria della città e rendevano ogni momento ancora più vivo, affascinante e divertente. Che cos’è una casa, dunque? È soltanto un’abitazione o può essere anche un’intera città, che al pari di ogni casa andrebbe quotidianamente amata, protetta e rispettata?
Domanda: Con grande passione e fatica, sei anni fa hai dato vita a Venice Calls, un piccolo gioiello tra le associazioni di Venezia che opera in ambito sociale e culturale. Come e con quali obiettivi nasce questa realtà?
Risposta: Venice Calls nasce con l’obiettivo di mettere in rete le associazioni di Venezia per far fronte alle sfide della città e trasformarle in occasioni. Quando si presenta il problema dell’acqua alta, per esempio, uniamo le forze e ci adoperiamo per aiutare le persone in difficoltà, promuovendo un’azione politica che parte dal basso. Venice Calls nasce nel 2018 come movimento informale e nel 2019 si trasforma in associazione. Per me personalmente, è il modo che ho per rendermi utile nei confronti della città. Mi sono sempre trovato bene con le persone intorno a me, ma purtroppo Venezia è diventata oggetto di una narrazione negativa, di frasi come “Venezia è bella ma non ci vivrei” oppure “Venezia sta morendo e non si può fare nulla per cambiare le cose”. Era una litania che coinvolgeva tutti: giovani, adulti, adolescenti e anziani. Anche in famiglia si dicevano queste cose. Allora un giorno, chattando con i miei amici su WhatsApp, mi sono detto: troviamoci e parliamone: così è nata Venice Calls. È tutto partito da una mancanza, una sofferenza. Soprattutto da ragazzo, ho sempre sentito inutilità nei confronti della mia città ma anche di alcuni temi politici mondiali come la lotta all’inquinamento e al cambiamento climatico. E quindi ho capito che agire a livello locale è la soluzione migliore, anche perché ti dà la possibilità di conoscere persone che condividono le tue paure e che possono diventare compagni di viaggio. Perché continuo a farlo, quindi? Perché voglio smettere di rispondere alla gente che Venezia morirà entro la fine fine secolo. Non sarà così e intendo dimostrarlo.
D: Quali sono gli eventi e i progetti più importanti che hai realizzato con Venice Calls?
R: Ti rispondo partendo dall’inizio, perché il nostro primo progetto, che risale al 9 settembre 2018, continua ancora oggi e per noi è molto importante. Si chiama “Scova e scoasse” (in italiano: trova i rifiuti) e prevede la pulizia delle spiagge, delle calli e dei rii di Venezia. È stata la nostra prima missione, la prima risposta alla chiamata della città (da cui il nome Venice Calls), ed è sempre un ottimo modo per scoprire il territorio e le realtà che non per tutti sono così vicine, come Torcello e le altre isole. Negli anni abbiamo replicato il format almeno una volta al mese. È sempre in grado di coinvolgere moltissime persone ed è un’azione molto utile per la città. Un altro progetto importantissimo è nato in occasione della disastrosa acqua alta che ha colpito Venezia tra il 12 e il 17 novembre 2019. È stata una mobilitazione quasi spontanea, che ha raccolto decine di volontari in uno dei momenti più difficili degli ultimi decenni. In quei giorni praticamente non dormivo. Vivevo con i miei genitori e abbiamo fatto di una stanza della nostra casa il quartier generale per il coordinamento degli interventi, con quattro computer connessi 24 ore su 24 su chat WhatsApp e Telegram per rispondere sia alle richieste di aiuto delle persone sia a quelle dei volontari che volevano unirsi a noi. Dopo quei giorni così difficili, abbiamo dato vita a un progetto correlato insieme all’associazione Red Carpet for All, che prevedeva un mapping di tutte le persone che, in caso di acqua alta, avrebbero avuto bisogno di una mano. Si trattava per lo più di persone che abitavano al piano terra e di cittadini fragili (disabili o anziani). La cosa triste è che finiti i fondi, siccome il progetto faceva parte di un bando pubblico, non si è più fatto nulla. Abbiamo ancora nei nostri database i dati di circa 50 persone, ma non abbiamo più avuto la possibilità di portare a termine il progetto. Di questo sono molto dispiaciuto, perché era un modo concreto e attivo per avere cura delle persone.
D: Quanto è importante che cittadini e associazioni di Venezia si mettano in rete per essere più forti insieme?
R: Il dialogo è indispensabile e non mi stancherò mai di ripeterlo. Venezia, però, è una città dai grandi ego dove anche le piccole associazioni, che sono numerose, spesso fanno a guerra tra di loro. C’è una forte resistenza di strutture capitaliste anche in contesti legati al sociale, con una logica di competizione che qui non dovrebbe proprio esistere. Bisogna invece avere il coraggio di mettere da parte i propri interessi e collaborare di più.
D: Avete delle sedi o degli spazi in cui portate avanti i vostri progetti?
R: Certo. Anche in questi termini stiamo cercando di dare una risposta concreta alle sfide della città. A Venezia infatti non mancano gli spazi, come si pensa. Il problema è che spesso non vengono valorizzati o destinati agli utilizzi giusti. Anziché dar vita alle ennesime fondazioni che aprono agli ennesimi progetti delle ennesime Biennali, sarebbe più utile proporre qualcosa di diverso. Attualmente abbiamo cinque spazi in due edifici, entrambi nell’isola della Giudecca: uno è nel chiostro della Chiesa dei Santi Cosma e Damiano, l’altro è un ambiente dove ci sono per metà associazioni e per metà un asilo. Abbiamo uffici, un magazzino e aree verdi all’aperto. Sono luoghi che rendiamo vivi con serate di cinema, eventi culturali e concerti. È importante per Venezia conoscere i programmi culturali delle piccole associazioni, che hanno difficoltà ad avere spazi per esprimersi e creare un network. Ecco perché ospitiamo anche eventi di altre associazioni, oltre a promuovere i nostri. Pensiamo al bene della città, non soltanto al nostro.
D: Venice Calls è anche attiva nel riciclo. In che cosa consiste questa vostra attività?
R: Esattamente. Da circa un anno, dopo aver raccolto alcuni fondi, abbiamo avviato un laboratorio di riciclo che funge anche da spazio educativo e informativo sulla materia. In Italia è ancora difficile capire il riciclo con tutte le sue sfumature, anche perché ci sono elementi contraddittori e poco conosciuti. Siamo partiti dalla base e ci siamo chiesti: che cos’è il riciclo? Come possiamo renderlo comprensibile per tutti? Così, tramite piccoli macchinari e stampi, attraverso tecniche di iniezione di plastica fusa, abbiamo iniziato a produrre oggetti come trottole, frisbee e scacchiere, che non sono usa e getta ma possono durare nel tempo. Costruire oggetti in compagnia crea inoltre piacevoli momenti di gioco e aggregazione. E infatti collaboriamo molto con le scuole e i bambini. L’idea, oltre a coinvolgere le persone in attività positive per l’ambiente, è anche quella di mettere in donazione gli oggetti che produciamo, così a chi compra i nostri prodotti rimarrà sia l’oggetto fisico sia il ricordo della donazione.
D: Grazie per il contributo. Tutto questo mi fa pensare che nel modo in cui porti avanti le attività dell’associazione, per te Venezia e i veneziani siano come un’unica grande casa e un’unica grande famiglia, dove tutti siete parte dello stesso viaggio. Ecco perché vorrei chiudere l’intervista con alcune domande più personali. La prima è molto classica: che cosa significa per te vivere a Venezia?
R: Esatto, è come hai detto tu. Per me tutta Venezia è casa: tutta la città e non soltanto le mura dei luoghi in cui abito e ho abitato. Ogni volta che ritorno da qualsiasi viaggio, quando sono sopra il Ponte della Libertà sento di essere nella mia casa, dove posso godere degli amici e della famiglia e stare bene. Venice Calls è anche un modo per estendere questo senso di famiglia e fratellanza ad altre persone, creando valore positivo nel territorio. La città, come la casa, è poi sia il luogo della solitudine che della compagnia. Ti faccio un esempio. A casa ti puoi chiudere in camera e stare da solo, ma puoi anche cenare e parlare con tutta la famiglia. Allo stesso modo a Venezia puoi camminare, leggere o pensare in solitudine, così come puoi scegliere di uscire, passare del tempo in compagnia e andare nelle case degli amici. Sia in riferimento alla casa che alla città, penso poi che l’ospitalità sia la cosa più bella in assoluto. Parlo di dare un tetto a qualcuno, ospitare persone ed essere gentili. In questo senso, sento di aver fatto qualcosa per Venezia che va nella mia direzione ed è coerente con i miei valori.
D: Quali sono le case di Venezia a cui ti senti più legato?
R: La prima casa che mi viene in mente è la casa di famiglia. È il luogo dove sono cresciuto e in qualsiasi cosa mi ricorda i genitori e mia sorella. È piena di bei ricordi ed è stata importante anche per i miei amici e la mia filosofia di condivisione e ospitalità, che determina molti lati del mio carattere. Sono stati i miei genitori a insegnarmi l’ospitalità. Grazie a loro ho avuto la fortuna di crescere in un contesto aperto e disponibile ad ogni situazione ed evenienza. Un’altra casa importante è casa dei nonni, dove da piccolo ho passato molto del mio tempo. Mi ricordo le loro storie, i racconti. La loro è anche la casa dell’olfatto. Quando ci torno, tramite gli odori ridivento bambino. Mio nonno mi diceva spesso: “Ma tu sai quanto sei fortunato ad essere nato a Venezia?”. Mi parlava spesso dello spopolamento della città e mi ha fatto capire quanto fosse statisticamente difficile e raro essere un bambino nato a Venezia. Sono parole preziose che mi hanno dato una grande consapevolezza. E infine ci sono casa di Seba e casa di Leo, entrambe dei punti di ritrovo significativi e densi di vissuti, che per me sono stati luoghi di felicità ma anche di ricovero, cura e aiuto, dove ho trovato pace e amore nei momenti di sconforto.
D: Che cosa sogni per il futuro abitativo di Venezia, anche considerando lo spopolamento della città?
R: Quello dello spopolamento è un argomento delicato. Oggi a Venezia i residenti sono 49mila, anche se è vero che esistono altre forme di abitazione nella città, con persone che si stabiliscono a Venezia pur mantenendo la residenza in altri luoghi. Però è data molta attenzione al calo dei residenti anche per motivi di espressione di voto: essendo Venezia comune unico con Mestre, soluzione che tra l’altro apprezzo moltissimo, quello che si verifica è una disparità quantitativa di persone tra i due territori. Da una parte ci sono 49mila persone, dall’altra 200mila. Quindi se si decide di realizzare una linea in più di mezzi pubblici, probabilmente si opterà per un collegamento autobus piuttosto che per vaporetti. Gli amministratori si basano sulla maggioranza dei voti, ed è per questo che negli ultimi anni ci sono stati più investimenti in infrastrutture e strutture a Mestre. Per fare alcuni esempi, si sta depauperando il sistema ospedaliero a Venezia per favorirlo a Mestre. E così con gli uffici comunali, che gradualmente si stanno trasferendo a Mestre. Tutto questo rende sempre più difficile la vita a Venezia, che già di natura non è molto comoda. Prova a pensare a un anziano veneziano che per delle cure deve per forza recarsi a Mestre. È davvero un bel problema. Quello che sogno è una città che si sappia comunicare meglio, perché non sempre la terraferma riesce a comprendere le esigenze di Venezia e viceversa. Ci stiamo dimenticando la bellezza di essere insieme. Mi auguro che nel tempo emergano progetti e iniziative che avvicinino le due realtà in una logica di insieme e non più di separazione.