Durante la giornata nazionale della prevenzione sismica organizzata da Fondazione Inarcassa, dal Consiglio nazionale degli ingegneri e dal Cnappc, il ministro per la protezione civile e per le politiche del mare Musumeci ha presentato il piano nazionale per la prevenzione sismica: “Durerà almeno 10 anni con un primo stanziamento da 250 milioni di euro”.
“La prevenzione strutturale rimane una priorità a qualsiasi livello, dal governo nazionale fino alle amministrazioni locali – ha detto il ministro – Per poter avviare un percorso virtuoso oggi annunciamo il piano nazionale per la prevenzione sismica, un programma che parte con la dotazione di 250 milioni di euro, destinato a durare almeno 10 anni, con l’obiettivo di replicare questa cifra ogni anno. Privilegiamo le zone particolarmente a rischio e naturalmente le infrastrutture pubbliche, perché dobbiamo cominciare dalle scuole, dagli edifici ospedalieri, dalle strutture particolarmente strategiche soprattutto in caso di calamità. E per gli edifici privati, chiediamo l’intervento dell’UE”.
L’analisi: gli effetti secondari dei terremoti
Durante l’evento è stato presentato uno studio sui costi indiretti dei sismi. L’analisi ha preso in esame 3 terremoti distruttivi – Valle del Belice, Friuli Venezia Giulia e Irpinia – e per ciascuno ha analizzato 4 parametri: effetti sul PIL, sull’occupazione, sulla demografia e sui beni culturali.
Ma non solo, guardando il tasso di disoccupazione vediamo che nel Belice e in Irpinia è arrivato rispettivamente a 25,50% e 27,30%, ben oltre la media italiana oggi stimata al 5,8% (fatta eccezione per il Friuli che si attesta su 4,6%). Per quanto riguarda lo spopolamento, la presenza della popolazione residente è arrivata a toccare nel Belice un -10% e in Irpinia un -8,6%. Infine sulla perdita dei beni culturali, si registrano percentuali altissime, 100% nel Belice e 70% in Irpinia. E secondo una stima presentata durante l’evento, oggi in Italia sono circa 18 milioni gli immobili a uso residenziale a rischio sismico e che necessiterebbero di interventi immediati, una grande opera di manutenzione straordinaria che richiederebbe una spesa di 219 miliardi di euro, tenendo conto delle diverse aliquote a seconda del rischio sismico e delle agevolazioni del Sismabonus. Servirebbero, quindi, poco più di 7 miliardi di euro all’anno per 30 anni per mettere in sicurezza il nostro patrimonio immobiliare e per mitigare il rischio degli effetti secondari che un evento sismico potrebbe portare con sé.
“Si intuisce che sarebbe più opportuno mitigare e prevenire, intervenendo almeno sulla quota parte di costruito più ad alto rischio (per criticità nello stato di conservazione e sicurezza statica o per localizzazione nelle zone a più elevata probabilità sismica) – commenta il presidente della Fondazione Inarcassa, Andrea De Maio – un Piano nazionale di prevenzione sismica di carattere ordinamentale può rappresentare un primo importante e innovativo passo, al quale occorre affiancare azioni di lungo periodo che, necessariamente, devono partire dalla conoscenza dello status del patrimonio immobiliare e prevedere finanziamenti costanti nel tempo per affrontare, adeguatamente, la sfida della Prevenzione sismica in questo Paese”. E ha concluso il presidente De Maio: “Affrontando il problema del rischio sismico, secondo una logica di prevenzione sismica programmata, lo si potrebbe trasformare in un’opportunità, consentendo non solo il risparmio di tutti i costi diretti ed indiretti connessi ad un terremoto, ma anche attivando una leva importante per favorire la crescita e lo sviluppo socioeconomico dei territori”.
Per Massimo Crusi, consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori “In un paese fragile come il nostro ripetutamente colpito da catastrofi naturali, cui si aggiunge il problema di un patrimonio edilizio e infrastrutturale sempre più caratterizzato da obsolescenza, va assolutamente alimentata la cultura della prevenzione e della manutenzione. La sicurezza e il benessere dei cittadini devono rappresentare uno dei maggiori obiettivi strategici della politica, ciò può attuarsi solo con il sostegno ad azioni di rigenerazione urbana. Serve infatti fornire percorsi di trasformazione per città e territori italiani con un approccio innovativo al governo del territorio, con programmi di intervento organici, finalizzati a ricomporre in forma unitaria i diversi contesti urbani e territoriali. Una attenzione particolare va riservata al nostro patrimonio culturale dove i danni sono a volte difficilmente recuperabili. In questo caso la prevenzione e la manutenzione sono assolutamente prioritari: si tratta infatti di preservare la nostra identità culturale”.
Lo stato del patrimonio edilizio italiano
Intervenire per prevenire, quindi, è il primo passo necessario, considerando che il patrimonio immobiliare italiano è estremamente vulnerabile rispetto agli eventi sismici. Dal 1968, anno del terremoto della Valle del Belice, il nostro Paese ha stanziato oltre 135 miliardi di euro, di cui 20 andranno spesi da qui al 2047, per far fronte ai danni provocati dagli 8 terremoti distruttivi che hanno colpito la penisola negli ultimi 60 anni. Secondo i dati presentati oggi 12 milioni di edifici utilizzati per uso residenziale sono stati costruiti prima del 1971, il 57% del totale, e meno del 3% di tutti gli immobili censiti è stato costruito a partire dal 2008, momento in cui le norme tecniche per le costruzioni hanno iniziato a focalizzarsi considerevolmente sulla prevenzione sismica. Se poi andiamo a guardare lo stato di salute di questi edifici, complessivamente solo il 32% dell’intero costruito a scopo abitativo si trova in ottime condizioni (percentuale che scende intorno al 20% se si considerano solo gli immobili costruiti prima del 1960).
“L’ammontare delle spese sostenute dallo Stato dal 1968 ad oggi per gli interventi in emergenza e per la ricostruzione è molto consistente. Da tempo sosteniamo che sarebbe molto più utile intervenire in modo capillare e ben calibrato, a seconda delle caratteristiche e livelli di rischio dei singoli territori del Paese, con opere per la mitigazione del rischio sismico e la messa in sicurezza degli edifici – afferma Angelo Domenico Perrini, presidente del Cni -. Qualcosa è stato fatto col sismabonus ordinario e il Supersismabonus. Tuttavia, questi interventi non sono mai ricaduti in un quadro organico o in una sorta di Piano chiaramente definito nei costi, nelle modalità di finanziamento, nelle modalità di intervento nei singoli territori e nei tempi di realizzazione delle opere. Il punto nodale resta la sostanziale carenza di dati di dettaglio sullo stato del patrimonio edilizio e gli eventuali interventi di ristrutturazione realizzati negli anni. Serve dunque un cambio di passo per riuscire a focalizzare bene gli obiettivi e gli strumenti di intervento, tentando di passare dalle ipotesi all’azione. Non è semplice, ma anche momenti come questa Giornata della prevenzione del rischio sismico possono essere l’occasione per una forte spinta al cambiamento”.
“La giornata di oggi” ha dichiarato il presidente di Inarcassa Giuseppe Santoro, “rappresentaun’occasione preziosa per riflettere su queste tematiche e per riaffermare il valore della collaborazione tra istituzioni, professionisti e cittadini. In questo senso la nostra Fondazione gioca un ruolo fondamentale per sostenere interventi che promuovano lo sviluppo delle competenze e delle infrastrutture necessarie per una prevenzione efficace. Come Ente di previdenza ed assistenza siamo chiamati a fare la nostra parte: da un lato intervenendo a sostegno dei liberi professionisti colpiti da eventi calamitosi, dall’altra ci attiviamo come partner nella promozione di interventi di prevenzione, attraverso investimenti mirati alla riqualificazione del patrimonio edilizio. Siamo convinti che un sistema previdenziale moderno possa contribuire alla sicurezza e al benessere collettivo, fornendo esempi concreti di solidarietà e responsabilità”.