“L’italiano non è l’italiano: è il ragionare”, disse il professore. (Leonardo Sciacia)

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Il ministro italiano dell’Istruzione ha stabilito che, dal prossimo anno scolastico, gli smartphone saranno vietati durante l’orario scolastico in tutte le scuole, comprese le superiori, anche per fini didattici. Forse il ministro Giuseppe Valditara non si sentiva a pieno membro di un governo che, dal suo insediamento, è riuscito a introdurre 28 nuove tipologie di reato. Certo, arrestare un ragazzetto per uso di smartphone in classe sarà apparso un po’ eccessivo anche a lui, ma almeno un po’ di proibizionismo, come farne a meno.

Non riesco a vedere altre motivazioni a una decisione del genere. Di certo non didattiche.

In Cina, tanto per fare un esempio, dal prossimo anno scolastico verranno introdotti corsi per insegnare ai giovani, a cominciare dalle scuole primarie, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale. Ma la Cina è lontana, geograficamente ma non solo, così diversa e poco comprensibile per tanti aspetti.

Sarà… Avviciniamoci un po’ allora.

In Svezia, indicata come uno dei Paesi Ocse più avanzati nell’istruzione tecnologica, sono state introdotte riforme significative per garantire che le competenze digitali siano sviluppate fin dai primi anni di scuola, sia come materia a sé stante sia in modo trasversale ad altre discipline.

L’Estonia è spesso citata come modello europeo per l’educazione digitale, avendo digitalizzato i processi scolastici e inserito la programmazione informatica già dalla scuola primaria. Anche la Finlandia si distingue per l’approccio innovativo, integrando il pensiero computazionale e le competenze digitali in tutte le materie.

In Francia la materia “scienze e tecnologie digitali” è obbligatoria nel primo anno delle superiori; Polonia, Romania, Ungheria e Cechia hanno introdotto un numero significativo di ore obbligatorie di informatica e cultura digitale sia nella scuola primaria sia nella secondaria. Islanda, Lituania e Cipro assegnano molte ore alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC) già nell’istruzione primaria.

Ma sono tutti così attenti questi ragazzi europei? E solo i nostri sono così somari da stare tutto il tempo a cazzeggiare sullo smartphone invece che seguire la lezione? O forse non è questo il tema? Non si tratta di condotta, ma di istruzione! Io, per esempio, nel millennio scorso mi distraevo alla grande leggendo le Sturmtruppen sotto il banco. E venivo spesso beccato e cazziato perché non riuscivo a trattenere gli sghignazzi (chiedo sinceramente scusa a tutti i miei professori, anche perché confido che i tempi di prescrizione della dolosa lettura di fumetto in classe non siano stati modificati dal decreto sicurezza).

Forse nei paesi digitalmente più avanzati l’educazione all’uso della tecnologia non si limita a quello degli strumenti, ma mira a sviluppare competenze trasversali, come il pensiero critico, la risoluzione dei problemi, la programmazione e la cittadinanza digitale. Le competenze digitali sono spesso trattate sia come materia autonoma sia integrate trasversalmente in altre discipline, con una forte attenzione alla formazione degli insegnanti.

Nel palmo della mano ognuno di noi ha tutta o quasi la cultura del mondo. I contenuti sono ormai l’ultimo dei problemi. Ciò che serve è sapere come cercarli, come distinguere le fonti tra affidabili e non, come maneggiare e gestire le informazioni, come comunicarle a seconda degli ambiti o delle esigenze.

E la tecnologia, soprattutto quella dell’informazione, sia per quanto riguarda il software sia l’hardware, potrebbe aiutare a rinnovare una scuola basata sul nozionismo in una scuola che punta sulle capacità di rielaborazione di concetti e nozioni, sulla loro sintesi e, in una sola parola sul ragionamento.

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