Appena reinsediato alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump è stato preso da un sorta di attacco di grafomania. Si è messo a firmare ordini esecutivi, quei particolari atti del presidente Usa che hanno lo scopo di indirizzare le politiche esecutive delle varie agenzie che fanno capo al governo, a un ritmo che avrebbe fatto vergognare di sé anche il mitico compagno Alexej Grigorevich Stakanov (per curiosità: l’eroe del lavoro socialista si spezzava la schiena nelle miniere del Donbas).
Alcuni di questi ordini sono nei fatti innocui, sebbene un po’ grotteschi, tipo il ribattezzare il Golfo del Messico in Golfo d’America: saranno felici i cartografi a stelle e strisce; altri sono decisamente inquietanti, come la concessione della grazia a tutti i condannati per l’assalto a Capitol Hill nel 2020: uno di questi è morto appena uscito di prigione in uno scontro a fuoco con la polizia, un altro è stato risbattuto dentro per possesso di armi vietate (vietate pure negli Usa, chissà che erano?), e un terzo è stato denunciato dal figlio perché si sentiva minacciato dal padre che non lo riteneva abbastanza patriottico.
Altri ordini esecutivi ancora potrebbero però avere conseguenze importanti, anche fuori dai confini degli Usa, fino in Europa.
La denuncia degli Accordi di Parigi, il taglio immediato all’erogazione di oltre 300 miliardi di prestiti e sovvenzioni federali ai produttori e agli sviluppatori di infrastrutture green, la promessa di mettere fine al Green new deal del predecessore Joe Biden e all’auto elettrica per tornare decisamente a puntare su combustibili fossili e motori a combustione interna sta facendo, se non crollare, almeno vacillare le certezze green europee, anche in campo immobiliare e delle costruzioni.
Durante il primo convegno organizzato da Requadro con Logic Planning, che si è tenuto a metà settimana presso la sede di Progetto Cmr per la presentazione del report Real estate a Londra nel 2024, relatori e ospiti, tra il serio e il faceto, hanno raccontato quanto il clima nel settore sia già cambiato. Sino a dicembre il termine comune denominatore di ogni incontro era ESG: imprescindibile! Dallo scorso lunedì 20 gennaio lo stesso termine è diventato un po’ sconveniente, a tratti imbarazzante, per qualcuno addirittura radioattivo: da non più maneggiare nemmeno con le pinze.
Guardando ai fatti l’uscita degli Usa dagli Accordi di Parigi è, per The Donald, un “evergreen”: già visto nel 2017, a stretto giro del suo primo insediamento. Per quanto riguarda l’aumento di produzione del petrolio per favorire la discesa dei costi dell’energia le risposte non sono state entusiastiche. L’Opec sta facendo orecchio da mercante in attesa che la situazione passi dai proclami al pratico e si chiarisca; e anche i petrolieri texani non è che muoiano dalla voglia di aumentare la produzione per abbassare i prezzi del greggio e favorire la concorrenza interna del fraking.
Per quanto riguarda auto elettriche e infrastrutture ecologiche, comprese le infrastrutture abitative, questa potrebbe essere addirittura un’occasione per l’Europa di differenziarsi sul mercato e innovare. La commissione von der Leyen 2 pare indirizzarsi in questa direzione: abbandonare il furore ideologico del green a tutti i costi per muoversi in modo più pragmatico e realistico verso gli obiettivi di decarbonizzazione. A cambiare non è la destinazione, ma piuttosto il percorso.
Il problema della mobilità sostenibile, per esempio, non è una semplice questione di power train, da combustione interna a elettrico, ma di sistema di mobilità che sia efficace, come quello assicurato con le attuali pompe di benzina, ed efficiente in termini di costi. Peraltro, se un motore a combustione interna alimentato da carburante sintetico, ottenuto con energia proveniente da centrali a idrogeno o nucleari e quindi pulita, assicura gli stessi risultati in termini di decarbonizzazione di un motore elettrico, ma perché il primo deve essere escluso a priori? Assodato che vale il principio di neutralità tecnologica, saranno poi i consumatori e quindi il mercato a scegliere. Che peraltro vista la superiorità tecnologica europea in tema di motore a scoppio avrebbe pure senso economico.
Stessa cosa vale per la decarbonizzazione dell’immobiliare, che è dopo l’agricoltura il settore che più di tutti produce gas climalteranti. La reazione di rifiuto all’onda ecologista degli scorsi anni deriva in parte dall’impressione, da più parti alimentata, che la casa green, attraverso l’Epbd, fosse un’imposizione dall’alto. E in parte è anche vero. Ma minori consumi, uso più efficiente delle risorse, miglior vivibilità, più efficace conservazione della ricchezza patrimoniale sono tutti valori che prescindono dalla soggettività.
Valori che tendono a emergere tra i criteri di preferenza di cittadini, europei e non, e consumatori. Alla fine, anche per la casa grenn, più che imposizioni e divieti, in un senso o nell’altro, deciderà il mercato.