Il Consiglio dei Ministri del 15 ottobre 2019 ha approvato in tarda notte, sciogliendo la riunione in orari da rave party, il decreto fiscale 2020, il disegno di legge recante il Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2020, nonché il bilancio pluriennale per il triennio 2020-2022. Inoltre è stato dato via libera anche al Documento programmatico di bilancio, inviato alla Commissione Ue. Il tutto approvato, some ormai è abitudine, “salvo intese”.
In tema immobiliare sono state triplicate le imposte catastali e ipotecarie (da 50 a 150 euro ciascuna) e, come da attese, sono stati prorogati i vari bonus – ristrutturazioni, sisma, elettrodomestici – e in più è stato introdotto il nuovo bonus facciate, con un doppio obiettivo: stimolare il settore costruzioni assieme a generiche finalità di decoro urbano. Si tratta di essenzialmente di un provvedimento sperimentale, previsto per un solo anno. Il che vuol dire che dal prossimo associazioni e operatori di costruzioni e real estate inizieranno a spingere per una proroga, ripetendo il copione degli anni scorsi per altri bonus predecessori.
Più in generale, quattro sono essenzialmente i pilastri su cui la manovra si basa:
• mancato aumento dell’Iva,
• taglio al cuneo fiscale,
• green economy,
• lotta all’evasione fiscale, da cui il fondamentale corollario della disincentivazione all’uso del contante.
Il premier Giuseppe Conte ha commentato la manovra definendola “espansiva”. Ma si tratta, quantomeno, di una forzatura!
Spulciando la Nadef di inizio ottobre, i numeri dicono una cosa diversa. Il deficit tendenziale del 2020 – quello che si sarebbe cioè realizzato a legislazione vigente e che comprende l’aumento dell’Iva – è dell’1,4%; il deficit programmato, ossia quello che si stima di realizzare a seguito della legge di bilancio, è del 2,2%. Lo 0,8% di deficit in più andrà a coprire il mancato gettito dovuto all’avere lasciato invariate le aliquote Iva, primo pilastro su cui si fondano manovra e maggioranza giallo-rossa. Però c’è un però: le clausole di salvaguardia per l’anno entrante valevano, malcontate, l’1,3% del Pil. Manca da coprire un ulteriore 0,5%, che non può che arrivare da un pari aumento di imposte o da una corrispondente riduzione della spesa pubblica, al più da un mix di entrambe le misure. Di certo non si prefigura una manovra espansiva.
A ben guardare anche gli altri pilastri scricchiolano, e il rischio è che la struttura non regga l’architrave della manovra. Altro che rifacimento delle facciate…
Il secondo pilastro, che sarebbe dovuto essere più robusto, si rivela in realtà assai gracilino. Al taglio del cuneo fiscale, forse l’unica chiara misura potenzialmente espansiva prevista e condivisibile, sono dedicati meno di 3 miliardi di euro per l’anno venturo che, secondo le stime, si traducono in un beneficio fiscale di quasi 20 euro al mese per lavoratore. Roba da stappare bottiglioni di acqua frizzante per festeggiare!
Il terzo, ossia la green economy, fa un certo effetto… A sentirne parlare. Ma al di là degli annunci roboanti e dei proclami stentorei, in cosa consista questa rivoluzione verde è poco chiaro. Si accenna vagamente a energia, fonti rinnovabili, abbattimento della CO2, componendo frasi a casaccio pescando da un sacchetto le parole in topic trend su un qualunque social network. Ma non si individua nulla di pratico e nemmeno si affrontano numerosi problemi ambientali molto pressanti al di fuori di quelli in voga in piazza o sui social. A cominciare dallo smaltimento dei rifiuti e dalla realizzazione di termovalorizzatori, tanto per fare un esempio.
Infine la lotta all’evasione. Sia chiaro: andare a pescare gli evasori con tutti i mezzi disponibili, anche con pene che però siano commisurate al reato, per fare sganciare ciò che non è stato versato è giusto e meritorio. E’, in primo luogo, una questione di equità, civile ed economica prima ancora che fiscale. Fatto sta che alla lotta all’evasione si sono appellati tutti i governi degli ultimi decenni. E d’altronde dichiarare guerra agli evasori è un po’ come vestirsi di nero per una serata fuori: fa fine e non impegna! Tutti stigmatizzano gli evasori, perché ritengono che i disonesti siano sempre gli altri e nel proprio di caso, invece, ci sia sempre qualche eccezione cui appellarsi per giustificare i propri comportamenti. Ma i risultati non si sono mai dimostrati eccezionali.
Più di tutto, però, utilizzare le entrate presunte dal recupero dell’evasione per finanziare spesa corrente è un errore economico marchiano. Perché si tratta di entrate una tantum e neppure certe, che peraltro implicano dei costi di recupero. La lotta all’evasione è cosa buona e giusta e da fare, ma probabilmente sarebbe più saggio utilizzare l’extra gettito per ridurre lo stock di debito pubblico, con effetti positivi (sempre minimi, sia chiaro) sul costo a servizio del debito.
Detto ciò non si prevedono grossi problemi a ottenere il via libera dall’Ue, che verosimilmente darà un ok condizionato da rivedere verso metà anno e che, come successo lo scorso luglio, implicherà probabilmente una manovrina correttiva a metà anno. Insomma, nemmeno questa manovra prefigura un punto di svolta e rispetto ad anni e governi passati non si vede discontinuità. Emerge piuttosto una perversa continuità con il passato, fatta di mancette distribuite a pioggia a questa o quella categoria a scopo eletorale e di annunci e promesse di epocali cambi di rotta che si rivelano fantasiosi quanto insulsi e che mostrano Paese avviato su un piano inclinato di lento declino dove scivola verso un muro fatto di realtà, dove alla fine andrà a prendersi la sua facciata.