La nuova riforma finanziaria della Santa Sede entra ufficialmente in vigore. Con il Motu proprio “Coniuncta Cura“, Papa Leone XIV toglie allo Ior (Istituto per le opere di religione) l’esclusiva sugli investimenti, restituendo all’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica) una funzione centrale nella gestione dei fondi. La decisione, frutto delle raccomandazioni del Consiglio per l’economia e del Comitato per gli Investimenti, punta a sostenere una “responsabilità condivisa” tra gli organismi curiali, nel solco della Costituzione apostolica “Praedicate Evangelium” di Papa Francesco.
Reso effettivo con la pubblicazione su L’Osservatore Romano il 6 ottobre 2025, il Motu proprio che Leone XIV ha firmato il 29 settembre con lo scopo di consolidare “le disposizioni succedutesi nel tempo” e definire “i ruoli e le competenze di ciascuna istituzione, rendendo possibile la convergenza di tutti in una dinamica di mutua collaborazione”, stabilisce l’abrogazione del Rescritto del 23 agosto 2022 firmato da Papa Francesco, dal titolo “Istruzione sull’Amministrazione e gestione delle attività finanziarie e della liquidità della Santa Sede e delle Istituzioni collegate con la Santa Sede”. Il Rescritto abolito prevedeva che lo Ior avesse competenza esclusiva sulla gestione patrimoniale e fosse depositario di tutto il patrimonio mobiliare della Santa Sede e delle istituzioni ad essa collegate, interpretando in tal senso, il comma 3 dell’articolo 219 della “Praedicate Evangelium”. Disponeva quindi che tutte le istituzioni della Santa Sede “che siano titolari di attività finanziarie e liquidità, in qualunque forma esse siano detenute, presso istituzioni finanziarie diverse dallo Ior, devono informare lo Ior e trasferirle presso di esso appena possibile”.
Il Motu proprio “Coniuncta cura” stabilisce invece che “nel determinare le attività di investimento finanziario della Santa Sede”, l’Apsa generalmente “fa effettivo uso della struttura organizzativa interna dell’Istituto per le opere di religione, a meno che gli organi competenti, come stabilito dagli statuti del Comitato per gli Investimenti, non ritengano più efficiente o conveniente il ricorso a intermediari finanziari stabiliti in altri Stati”.
Tradotto in parole semplici, con la nuova normativa l’Apsa torna a essere il principale ente di amministrazione e gestione patrimoniale del Vaticano: lo Ior, che durante il pontificato di Papa Francesco aveva ottenuto l’esclusiva sugli investimenti, conserverà un ruolo operativo ma non più di monopolio; l’Apsa potrà invece scegliere di avvalersi della struttura interna dello Ior per eseguire operazioni finanziarie, ma – per la prima volta dopo anni – potrà anche rivolgersi a intermediari esterni, italiani o internazionali, se giudicati più efficienti o convenienti dal Comitato per gli Investimenti. Una scelta che si pone l’obiettivo di rafforzare i controlli interni, evitare concentrazioni di potere e garantire maggiore trasparenza nella gestione dei fondi. Un nuovo equilibrio, quello tra Apsa, Ior e Comitato per gli Investimenti, che intende assicurare un sistema più bilanciato e fondato sulla verifica reciproca delle competenze.
Ior: in gestione circa 5,7 miliardi di euro
Secondo il Rapporto annuale 2024 diffuso dalla Sala Stampa vaticana, l’ente gestisce complessivamente circa 5,7 miliardi di euro tra conti correnti, depositi, fondi patrimoniali e titoli in custodia. Il patrimonio netto si attesta intorno ai 732 milioni di euro, mentre l’utile dell’esercizio 2024 ammonta a 32,8 milioni di euro, in crescita rispetto all’anno precedente. Pur non configurandosi come una banca nel senso classico del termine, lo Ior svolge il ruolo di istituto finanziario specializzato, al servizio di enti religiosi, diocesi, congregazioni e fondazioni collegate alla Santa Sede. Le sue dimensioni, sebbene inferiori a quelle dei grandi colossi bancari internazionali, risultano comunque rilevanti nell’ambito dell’economia vaticana. Le somme gestite rappresentano infatti la componente più liquida del patrimonio complessivo del Vaticano, distinta dalle attività immobiliari e mobiliari amministrate dall’Apsa, che nel 2023 aveva comunicato un valore patrimoniale superiore a 2,7 miliardi di euro.
Apsa: nel 2024 oltre 62 milioni di utili
Straordinari anche i dati sull’Apsa, pubblicati nel Bilancio del 2024 il 28 luglio 2025: un utile di 62,2 milioni di euro (oltre 16 in più rispetto al 2023) e un contributo di 46,1 milioni di euro (più di otto dei 37,93 milioni del 2023) per la copertura del “fabbisogno” della Santa Sede e del deficit della Curia romana. Una redditività totalmente al servizio della Santa Sede, dove per “fabbisogno” finanziario della Curia, pari a 170,4 milioni, si intendono le uscite finanziarie che sostiene l’Apsa per la Santa Sede, quindi la somma di paghe e acquisto beni e servizi. Con un contributo fisso di 30 milioni e un contributo variabile (il 50% su utile residuo) di 16.087 milioni, è dunque pari a 46,087 milioni il totale dei contributi Apsa alla Curia.
Quanto agli utili, va ricordato che nel piano triennale elaborato quattro anni fa l’obiettivo era 50 milioni. Il plus registrato nel bilancio 2024 è pertanto un “risultato estremamente positivo – commenta l’arcivescovo Giordano Piccinotti, presidente Apsa -, frutto di un’amministrazione dei beni mobiliari e immobiliari che ha puntato maggiormente alla valorizzazione piuttosto che alla riduzione delle spese o alla vendita”. Il tutto secondo processi di razionalizzazione, trasparenza e professionalità. “Non si tratta solo dell’affitto di immobili sfitti; in questi anni c’è stata un’operazione di ristrutturazione della gestione immobiliare non indifferente che ha permesso di affittare a prezzi di mercato. Questo porta molte risorse in più. Oltre a ciò, l’Apsa sta operando con etica perché tutti i processi siano formalizzati e tracciabili”, continua Piccinotti.
Gestione mobiliare Apsa: in fase di riassetto il portafoglio investimenti
I dettagli si ritrovano tutti nelle 34 pagine del bilancio che offre una panoramica delle due grandi gestioni affidate ad Apsa (mobiliare e immobiliare). Quanto alla prima, si evidenzia che, durante i mesi di marzo e aprile 2024, sono state attuate le direttive del Comitato degli Investimenti della Santa Sede, il quale, tra le varie indicazioni, ha disposto che gli investimenti venissero fatti in sma (separated managed accounts). Qualcosa di simile a comuni fondi di investimento ma di proprietà della Santa Sede. Tale politica si è concretizzata in un significativo riassetto del portafoglio di investimenti che da un lato ha permesso di preservare il valore del patrimonio in un momento di contrazione dei mercati; dall’altro ha portato a un impatto positivo nella successiva fase di rinvestimento. Grazie a queste visioni e strategie, l’Apsa ha quindi ottenuto un rendimento gestionale di 8,51 punti percentuali. “In altre parole, abbiamo venduto quando il mercato era alto e acquistato quando era basso. Questo ha portato a un risultato altissimo”, afferma Piccinotti. Cioè 10 milioni in più rispetto all’anno precedente.
Apsa: gestione immobiliare di 4.234 unità per un totale di 35,1 milioni
Rimasto, invece, praticamente invariato rispetto al 2023 il risultato della gestione immobiliare: 35,1 milioni. Esso è frutto di un “effetto combinato” tra il positivo dei maggiori ricavi dagli immobili Apsa in Italia (+ 3,2 milioni) e di quelli dalle società partecipate in Italia e all’estero (+ 0,8 milioni), e il negativo (- 3,9 milioni) dei maggiori costi generati dagli immobili Apsa (di cui 3,8 milioni solo per manutenzioni). Nel documento si evidenziano tuttavia alcune novità come la presa in carico del patrimonio del Dicastero per le Chiese Orientali, l’accordo col Vicariato per la donazione degli Edifici di culto, la creazione di “pacchetti di unità” per ridurre gli sfitti. In corso, poi, iniziative di riqualificazione per aumentare l’appeal commerciale dei beni, gare per la gestione delle manutenzioni, revisione dei format contrattuali.
Ad oggi, inoltre, sono 4.234 le unità immobiliari gestite da Apsa in Italia: 2.866 di proprietà della stessa Amministrazione (1.367 ad uso residenziale, 395 ad uso commerciale); 1.368 di altri enti. Da rilevare in tal senso, alla luce anche di false narrative, che l’Apsa versa in forma diretta e indiretta imposte relative agli immobili sul territorio italiano. Nel 2024 sono stati versati 6 milioni per l’Imu e 3,19 milioni per l’Ires. La gestione immobiliare avviene pure attraverso società partecipate in Inghilterra (British Grolux Investments), Francia (Sopridex), Svizzera (Profima) e in Italia (Società Agricola San Giuseppe, Società Edile Leonina, Sirea, Immobiliare Css).
Santa Sede: un patrimonio di 4 miliardi, ma con un conto in rosso
Qual è invece il patrimonio della Chiesa in Italia? Prima di procedere con i dati, va fatta una piccola precisazione. La Santa Sede, di cui abbiamo parlato finora, è solamente il “governo centrale” della Chiesa con sede in Vaticano, non la Chiesa nel suo insieme, che è composta da innumerevoli istituzioni sparse in quasi tutto il mondo: parrocchie, scuole, missioni, ospedali, luoghi di culto, e tanti altri enti. In altre parole, le chiese che vediamo vicino casa nostra non rientrano nel patrimonio della Santa Sede. Le entrate della Santa Sede provengono da varie fonti: obolo di San Pietro, Ior, turismo, diritti d’autore sui libri del papa. La Santa Sede spende il suo denaro soprattutto per ragioni di gestione e amministrazione e non per opere di carità, suscitando per questo alcune critiche. Ciò nonostante, i suoi conti sono cronicamente in rosso: per via del calo delle donazioni ricevute dai fedeli, per una gestione poco accorta delle finanze e soprattutto per una serie di scandali legati alla corruzione e al riciclaggio di denaro. In totale, si stima che nel 2023 la Santa Sede abbia chiuso il bilancio con circa 70 milioni di euro di deficit. Una situazione che preoccupa e sulla quale è intervenuto più volte in passato anche Papa Francesco, che ad esempio durante la pandemia aveva chiesto ai cardinali un sacrificio economico, tagliando le loro indennità di circa 500 euro al mese. Poi, lo scorso autunno, un ulteriore taglio di altri 100 euro per contribuire alla riduzione del deficit. L’unica eccezione resta l’Apsa, che chiude in attivo. Ma resta il nodo pensioni. Ciononostante, il patrimonio stimato della Santa Sede è di circa 4 miliardi di euro. Una buona cifra ma, considerato il contesto, non una potenza.
La Chiesa in Italia: 46 mila edifici per un valore di 42 miliardi
Possiamo adesso venire al dunque e concludere quest’analisi con alcuni dati sulle proprietà della Chiesa, ovvero delle istituzioni ecclesiastiche nel loro insieme. Solo in Italia, la Chiesa possiede infatti 45 927 edifici tra luoghi di culto, scuole, centri parrocchiali, residenze e ospedali per un valore di oltre 42 miliardi di euro e una superficie complessiva di 38,6 milioni di metri quadri. Cifre impressionanti come purtroppo anche le percentuali di utilizzo di tali beni: una parte significativa di questo patrimonio è purtroppo vuota o sottoutilizzata (30-40%), mentre circa il 40% si trova in condizioni di manutenzione precarie.
Alla luce di questi numeri, è inevitabile chiedersi se la Chiesa non potrebbe fare di più con il vasto patrimonio di cui dispone. Una parte consistente di questi edifici potrebbe essere impiegata in modo più efficace. Si potrebbe, ad esempio, destinare immobili inutilizzati a molti più progetti di accoglienza o assistenza, oppure metterli in grande quantità sul mercato a prezzi calmierati, favorendo giovani, famiglie o enti sociali in difficoltà. Un uso più solidale e sostenibile di questo patrimonio non solo renderebbe più coerente la missione evangelica della Chiesa, ma potrebbe anche contribuire concretamente ad affrontare problemi sociali urgenti, come l’emergenza abitativa o la povertà crescente. In questo senso, valorizzare i beni ecclesiastici significherebbe non solo conservarli, ma renderli vivi e trasformarli in strumenti di giustizia e inclusione.