Per il primo appuntamento del nostro ciclo di interviste _Real People_ andiamo dritti al centro.
Quale centro? Il centro commerciale!
Michele Neri e Valeria Arrigo sono rispettivamente responsabile marketing e assistente alla direzione e comunicazione d’impresa di Odos Group, azienda che si occupa della commercializzazione, gestione e locazione di più di 50 centri e condomini commerciali in tutta Italia.
Odos rappresenta una realtà che si impegna non solo nel real estate, con oltre 750.000 mq di immobili, ma anche nel cambiare il paradigma che vede il centro commerciale come una realtà esclusivamente consumistica e incentrata sullo shopping.
Iniziamo con un piccolo gioco… Per voi, com’è il mondo, in tre parole?
Valeria: “Mondo” deriva dal latino, mundus, che vuol dire pulito, chiaro, visibile, ordinato. Oggi però ti direi che il mondo è tutto il contrario. Poi, però, mi vengono in mente altre parole, e possono essere tantissime: il mondo è un miracolo, è un palcoscenico, è un cielo stellato.
Michele: Ho lasciato andare la mente. Mi sono reso conto che il mondo è tre parole: “tanto”, “incomprensibile”, “sorprendente”. Sia nella vita che al lavoro, il mondo riesce ancora a sorprendermi tutti i giorni.
Altro gioco: vi incontro a cena, o a un convegno, e non vi conosco. Vi chiedo: voi che cosa fate nella vita?
Michele: Me lo chiedono sempre anche i miei figli! È un lavoro difficile da spiegare, da decodificare, perché si occupa di cose che la gente non vede.
Io mi occupo di promuovere, di far conoscere i centri commerciali. Ma il nostro lavoro è davvero tanto dietro le quinte. Quello che facciamo noi ha una manifestazione molto visibile, ovvero le campagne pubblicitarie o gli eventi. Quello che la gente non si aspetta è tutto ciò che vi sta dietro: sia nel marketing, che è il mio ambito, sia nel real estate, che è il mio settore. Non conta solo la pubblicità, o i rendimenti dell’immobile – che sono importanti, senza dubbio – ma conta soprattutto ricondurre il nostro lavoro a chi fa in modo che queste cose funzionino da parte delle persone, per le persone.
Valeria: Sono arrivata da un anno e mezzo in Odos e io in primis mi sono resa conto di che cosa c’è dietro. Ho scoperto che sono impiegate tantissime competenze trasversali, tantissime risorse, tantissime persone. Se prima pensavo che i centri commerciali fossero solo un luogo di shopping, mi sono dovuta ricredere e vedere che c’era anche molto altro.
Ecco, questo è interessante: sfidare gli stereotipi. In che modo un centro commerciale può diventare anche molto altro?
Michele: Partiamo dal presupposto che spesso il centro commerciale è vissuto come un luogo esclusivamente consumistico. Lo sforzo della nostra attività di Marketing è mirato a posizionare il “prodotto” Centro Commerciale come qualcosa di diverso. Noi cerchiamo di spingere un’esperienza di carattere sociale, culturale, umano. Che è quello che manca nel percepito di questi luoghi. Noi europei abbiamo una storia culturale e sociale che ci porta a vivere i luoghi come spazi di aggregazione, sul modello di Agorà- che poi nel tempo è diventata la piazza della chiesa, del comune ecc. Purtroppo, queste realtà hanno oggi perso parte di questa funzione. Noi ci sentiamo investiti del compito di far rivivere quel concetto, creando attorno al momento dello shopping un momento di aggregazione e di approfondimento di certi aspetti valoriali.
Ci puoi fare degli esempi concreti?
Michele: Dal punto di vista specifico è un lavoro tanto tailor-made.
A Napoli, per esempio, abbiamo preso in gestione un centro commerciale che esisteva già, “la Birreria”. Si trova nel quartiere di Miano, tra Secondigliano e Scampia, una zona che ha da sempre una grande attenzione mediatica, non del tutto positiva.
Abbiamo dovuto ripristinare l’immagine di un luogo che potesse essere sicuro, e che avesse al centro la legalità. Abbiamo cominciato a coinvolgere tutto il tessuto sociale: associazioni ed enti che cercavano disperatamente un luogo dove poter far vedere che quei quartieri non sono solo quello che i media raccontano. Abbiamo offerto loro un luogo dove far accadere cose belle, dove accogliere i bambini, farli giocare e studiare durante l’estate. Un luogo dove si ritrovassero tutti gli artigiani che producono i presepi, un luogo dove venire a lavorare e mettere in mostra le loro opere: ad oggi, lì, c’è una mostra di presepi tra le più grandi di Napoli.
Ma abbiamo anche dato spazio a un’associazione di autori e attori di teatro che hanno utilizzato dei negozi sfitti e hanno fatto dei corsi e spettacoli coinvolgendo le scuole del circondario. Oggi lavoriamo con 40 associazioni del territorio.
A Torino, invece, con “Officine S”, siamo partiti da una situazione diametralmente opposta. Un recupero industriale, una vecchia fabbrica dove venivano realizzati i binari per la ferrovia, presso il parco Dora. Il punto di forza è stato essere inseriti in un contesto di uffici e residenziale molto ricco.
C’erano già centri commerciali in zona. E quindi abbiamo pensato: cosa andrà a fare la gente lì? Andrà a divertirsi. Abbiamo creato un punto con ristoranti, centri ludici, seguendo una logica diversa dal solito: la creazione di un prodotto che rispondeva alle esigenze di intrattenimento della zona.
Valeria: E qui è molto evidente tutto il lavoro che c’è dietro e che un anno e mezzo fa non immaginavo minimamente. Si parte sempre dall’analisi di una zona geografica e sociale, dalle necessità della popolazione e del territorio che gli sta attorno.
Quindi, possiamo dire, il centro commerciale sta ritornando “al centro” delle esperienze non solo di shopping, ma anche di socialità e aggregazione di alcune comunità.
Nel recente convegno “E.S.G. – i valori della sostenibilità nel Real Estate” organizzato da Requadro lo scorso 20 novembre, è emerso proprio questo concetto: che la S (social) di E.S.G. è la variabile che sta assumendo sempre più importanza in questo settore… ma che, al tempo stesso, è la più difficile da misurare e comunicare.
A tal proposito, come comunicate questo tipo di iniziative di sostenibilità? Che tipo di strumenti utilizzate?
Valeria: Per comunicare agli investitori e alle istituzioni, i canali B2B che utilizziamo sono i social (LinkedIn in primis), oltre che gli eventi, le conferenze, le fiere e i convegni – come, appunto, quella di Requadro, che hai citato, e a cui eravamo presenti. Questi strumenti sono molto importanti perché generano relazione, dialogo, pensiero. E per noi è vitale.
Il 2024 è servito per mappare e rendicontare quello che porterà buoni frutti nel 2025, ottenendo certificazioni che prima non avevamo e pianificando le certificazioni che vorremmo ottenere con l’anno nuovo per, infine, costruire un Report di Sostenibilità.
Questo non solo è uno strumento di comunicazione che assume sempre più valore, ma è essenziale per partecipare alle gare d’appalto, e diventerà col passare del tempo uno strumento di business essenziale per continuare a operare nel settore. Il futuro è nella compliance.
Quindi la comunicazione della sostenibilità, nel real estate, non è soltanto “comunicazione e basta”.
Michele: La sfida grossa è rendere tangible tutti gli intangible assets, perché di fatto sono asset alla stessa stregua dei mattoni che compongono questi edifici. Noi lavoriamo in un settore super tangible, ma, all’atto pratico, i risultati sono maggiormente dettati da elementi intangibili.