Il futuro è qui! Una chiacchierata con Maurizio Melis

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Molte e molti di voi avranno già ascoltato la sua voce sulle frequenze di Radio24. Altre e altri lo avranno visto sul palco di conferenze e convegni sulla tecnologia, sull’ambiente, sull’innovazione. 
Ma non solo: divulgatore scientifico (e istrionico!), ha persino portato a teatro “…E non lasciano l’erba…”, uno spettacolo che racconta, attraverso la musica, la storia della contestazione ecologica in dieci figure storiche di donne e uomini che hanno forgiato la cultura ambientalista.

Questo e molto altro è Maurizio Melis, con cui, in questa intervista, abbiamo parlato di sostenibilità e futuro del settore edilizio, tra città e provincia. 


Domanda: Ciao Maurizio! Visto il tuo spaziare tra scienza e creatività, mi viene spontaneo chiederti: che cosa sognavi di fare da bambino?
Risposta: Da bambino ho sempre pensato di fare lo scienziato: ero appassionato di tutte le discipline scientifiche. Uno dei miei luoghi preferiti era l’Osservatorio Astronomico “G.V. Schiapparelli” di Campo dei Fiori, a Varese. Lì ho scoperto l’amore per la divulgazione scientifica, che poi è quello che faccio: sono a metà tra il divulgatore e il giornalista. Ma parlando di tecnologia è un po’ difficile distinguere tra le due cose.

D: E infatti, oltre alla tecnologia, parli di ambiente, sostenibilità, mondo. E a proposito di mondo – visto che ormai questa domanda è diventata un gioco ricorrente delle interviste di Real_People – com’è il mondo, per te… in tre parole? 


R: Direi caos, evoluzione e ordine. 
La teoria dell’evoluzione, di cui sono un appassionato, ti permette di vedere all’opera la Natura: tra il caos delle mutazioni ne seleziona qualcuna e produce ordine. Non che ci sia un vero percorso, ma si può rintracciare un equilibrio.

D: Un equilibrio che spesso l’uomo cerca di ricreare in ambienti complessi e organizzati come le città. Su Radio24 ti sei occupato a lungo di Smart City. E’ un termine che abbiamo sentito spesso per un certo periodo, poi si è perso, o forse normalizzato. Ci siamo fermati o siamo diventati più smart? 


R: Siamo passati da una fase in cui si facevano annunci roboanti a una fase in cui si fa di più e si annuncia di meno. Per esempio, dai sistemi di pagamento alla bigliettazione, il trasporto pubblico è diventato più Smart. Noi oggi diamo per scontato l’entrare col cellulare in metropolitana: è estremamente comodo, ma ci siamo stupiti soltanto la prima volta. Poi, come tutte le cose, ci siamo abituati. 



D: Prima di tutto, però, dobbiamo chiederci: cosa intendiamo per città intelligente? E cosa intendiamo per smart city?
R: La mia impressione è che la smart city sia l’ultima versione di un mito che inseguiamo da sempre, come minimo da secoli: la città ideale.
Proprio in Italia, nel Quattrocento, abbiamo formalizzato questo concetto e dato vita a una ricerca che ancora continua, credendoci come dev’essere fatta la città ideale.
E naturalmente, da Rinascimento ad oggi, abbiamo dato risposte diverse. Le mura, per esempio, non sono parte della concezione della città ideale di oggi, mentre nel Quattrocento lo erano, eccome.

Oggi, le risposte sono molteplici. Pensiamo alla “città dei quindici minuti”, ovvero la concezione di un luogo dove tutti i servizi siano raggiungibili in quel lasso di tempo. Non è la Smart City ma nemmeno è in contraddizione con la Smart City.

Quest’ultima nasce, concettualmente, in un contesto informatico: è l’idea che grazie a sensori e reti di telecomunicazioni che ci permettono di acquisire ed elaborare dati e fotografie della città istante per istante, possiamo imparare a governare la città in tempo reale. O almeno alcuni aspetti della vita delle città, come i parcheggi, l’illuminazione, il traffico, il consumo di acqua ed energia, le prenotazioni all’ospedale, o la sicurezza.

Ma va detto che in tutto questo questo la Smart city resta, come la città ideale, una specie di mito a cui tendere più che un obiettivo preciso.

D: Puoi farci un esempio di qualcosa di smart? 


R: L’esempio più immediato è il parcheggio. Traduciamolo in “Smart parking”: si calcola che una buona parte dei veicoli che vediamo circolare durante gli orari di punta non siano auto che si stanno recando da qualche parte, ma siano in realtà auto in cerca di un parcheggio. Ora, se proviamo a far circolare l’informazione “parcheggi vuoti” e la facciamo arrivare ai guidatori che stanno cercando un parcheggio, potremmo togliere dalla strada il 10, 20, 30% dei veicoli; mentre se dovessimo risolvere quel problema aggiungendo parcheggi, consumeremmo ulteriore suolo pubblico e apriremmo infiniti cantieri. Possiamo fare la stessa cosa con la gestione dell’acqua, dell’energia, del traffico, con la gestione sanitaria dei pazienti… Smart Energy, Smart Health, Smart Traffic; il concetto è sempre quello: abbiamo acquisito una capacità senza precedenti di raccogliere, elaborare, e far circolare l’informazione, e se la mettiamo in pratica nel modo giusto risparmiamo molte altre risorse, facciamo le cose più velocemente e in modo più preciso. Questo non cancella tutti i problemi, non fa venire meno la necessità di aree verdi o di social housing, ma potrebbe aiutare in tanti ambiti: dalla salute alla mobilità, dall’energia all’ambiente, dalla scuola all’industria. E può fare molto per la sostenibilità.

D: A proposito di sostenibilità, quali sono le innovazioni più sostenibili nel mercato edile e immobiliare? 


R: Partiamo dal fatto che nel settore immobiliare – eccezioni a parte – c’è un deficit di produttività molto forte. Il comparto vive di una crisi perenne. Ogni tanto si riscuote per l’arrivo di qualche ondata di incentivi, ma appena questi finiscono si ritorna da capo.

Il motivo è che la crisi è strutturale. Siamo un paese con un patrimonio immobiliare enorme e una demografia in drammatico declino. In più il consumo di suolo è ormai arrivato agli estremi, e quindi in gran parte si tratta di ristrutturare, cosa più complicata che costruire da zero. Per cui, come potrebbe andare tutto bene? E soprattutto, come potrebbe andare tutto bene continuando a fare come si è sempre fatto?

Per risvegliare il mercato bisogna inventarsi qualcosa, e la cosa migliore che può fare un’azienda che vuole rimanere sul mercato è aumentare la produttività. E come si fa? Quali sono gli strumenti? Storicamente, in tutti i settori dell’economia, le risposte principali sono due: prima si industrializzano i processi, e poi si digitalizzano. 
Ecco, questi due cambiamenti, ovvero l’industrializzazione e la digitalizzazione, hanno sempre fatto fatica ad entrare nel comparto immobiliare. Sia per il gran numero di micro-aziende con pochi dipendenti che operano nel settore, sia per i professionisti, che non possono comunque abbracciare l’innovazione finché il resto della filiera non si adegua. 
Un esempio è quello del Retrofit off-site, cioè l’introduzione delle tecnologie di prefabbricazione nel mondo delle ristrutturazioni, come già è avvenuto nel settore delle nuove costruzioni.

Invece di avere un tecnico che monta una finestra, un altro che incolla i pannelli di polistirene e fa la rasatura, e un altro ancora che stende i corrugati per i cavi elettrici, viene realizzato in grande componente prefabbricato già completo di tutto, confezionato su misura in uno stabilimento. Il pannello può contenere perfino impianti e tubazioni nell’intradosso e viene semplicemente agganciato alla parete. Risultato: un cantiere di poche settimane di lavoro e un cantiere più pulito e sicuro per i lavoratori. Spesso non sono nemmeno necessari i ponteggi.

In realtà non è un concetto rivoluzionario. Pensate agli infissi: non ci sono più il falegname, il vetraio, ecc., che assemblano le finestre. Ci sono tecnici che vengono a prendere delle misure, c’è una fabbrica in cui il serramento viene prodotto con macchine a controllo numerico, e c’è operaio che viene a installarlo.

Si tratta di estendere lo stesso approccio ad altri componenti e attività.

Finora ci sono riusciti bene in Nord Europa (in Olanda, è famoso il programma statale “Energiesprong”, che ha basato su questa tecnologia l’efficientamento energetico di un gran numero di abitazioni e città, NdR), dove questo approccio nasce e dove tuttavia l’edilizia è diversa da quella nostrana; molto più standardizzata.

In Italia, oggettivamente, ci sono meno contesti adatti a questo approccio. Ma questo non vuol dire che non ce ne siano: pensiamo ai grandi condomini, per esempio. Inoltre, si tratta di un approccio competitivo non solo per i tempi di realizzazione, ma anche perché si presta ad economie di scala che abbasserebbero i prezzi attraverso l’ottimizzazione delle risorse. Tuttavia, queste innovazioni vengono vissute con un po’ di paura. 



D: Una riconversione lavorativa e produttiva che deve sfidare un’abitudine. 


R: Certo, il cambiamento non è gratis, non è facile e non è immediato. Però bisogna capire che questo tipo di cambiamenti o vengono cavalcati o si subiscono, per poi finire disintermediati da filiere estere come è accaduto in altri comparti. 



D: Abbiamo parlato di grandi città, Smart cities… ma l’Italia non è soltanto questo. Sempre più persone migrano lontano dai grandi centri abitati. Potranno trovare innovazione e cambiamento anche nei piccoli centri e in provincia, secondo te? 


R: È chiaro che sulle grandi città ci sono delle dimensioni che non ha senso calare su quelle medio-piccole: non c’è una ricetta che si possa applicare indistintamente a tutte le città. Per esempio, è ovvio che nella provincia dovrai usare di più l’automobile rispetto a una grande città dotata di metropolitana. Nelle classifiche delle Smart Citiy, però, ci sono città sia grandi che piccole come Bergamo, Trento o Matera. Che ci sia una dimensione Smart anche per il medio e per il piccolo non c’è dubbio. Anzi, alcuni vantaggi valgono doppio. 



D: Quindi “tecnologia” e “provincia” non sono due concetti antitetici. 


R: Al contrario, i luoghi periferici hanno ancora più bisogno di innovazione. Se digitalizzare i servizi della pubblica amministrazione è vantaggioso per chi abita in una grande città e può raggiungere uno sportello in pochi minuti lo è a maggior ragione a chi abita in montagna a 20 tornanti e 30 minuti di auto dal primo ufficio comunale.

Oppure prendiamo un altro esempio: nelle zone di montagna e nelle aree interne uno dei principali motivi di spopolamento è la distanza dagli ospedali. Adesso si parla tanto di taxi volanti (droni giganti di cui si sta già predisponendo la realizzazione di vertiporti, cioè di infrastrutture per il decollo e l’atterraggio, NdR). Pensate, in prospettiva, a cosa si potrebbe fare con questi mezzi per il trasporto di malati in zone poco inurbate, come, appunto, la montagna, dove magari il primo ospedale dista un’ora di strada; mentre in città, dove gli ospedali sono molto più vicini, il vantaggio sarebbe certamente inferiore.

Insomma, a patto di focalizzarsi sulle sfide giuste, l’innovazione può certamente essere una chiave di volta per la provincia tanto, e forse ancor di più, che per la città, se così vogliamo schematizzare le cose.



D: Sei un esperto di un presente che ha lo sguardo sempre rivolto al futuro. Quale innovazione tecnologica aspetti con trepidazione (e che vedi arrivare all’orizzonte)? 


R: Se devo sceglierne una sola… beh, un’invenzione che vorrei vedere, anche se mi sembra ancora lontana… è la fusione nucleare. Una fusione nucleare controllata, naturalmente, ed economicamente sostenibile. 
Con l’idrogeno che c’è in un bicchiere d’acqua si può far funzionare una città. Si aprirebbero delle prospettive pazzesche: l’ambiente ne beneficerebbe perché significherebbe la fine dell’uso di fonti energetiche non sostenibili e di tanti conflitti nati per accaparrarsele.

Una fonte di energia nucleare pulita ed economica, probabilmente, spianerebbe realmente la strada anche all’esplorazione di altri pianeti. È difficile fare previsioni.
La rivoluzione industriale ha cambiato il mondo perché ha cominciato a usare l’energia in modo molto più intenso, e di conseguenza anche la materia: senza il carbone non fondi l’acciaio, per esempio.

L’energia nucleare è milioni di volte più potente di quella chimica, ma il nucleare che conosciamo ha tutta una serie di problemi: di accettabilità e di costo prima ancora che di sicurezza.

Ora, per la prima volta dopo tanti decenni, si stanno affacciando delle vere novità, come alcuni progetti di nucleare di IV generazione. 
La fusione sarebbe il non plus ultra. Sarebbe una di quelle invenzioni che cambiano i destini dell’uomo, come è stata, secoli fa, l’invenzione della macchina a vapore che ci ha permesso di passare da un’era in cui la forza era quella dei muscoli a un’era in cui la forza era quella delle macchine. Questo ha trasformato l’umanità, la curva del progresso umano. Anche se certo: sia in senso positivo che in senso negativo. Come tutti i cambiamenti.

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