L’incertezza scaturita dal radicale cambiamento della politica statunitense, seguito al secondo insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, ha profondamente cambiato l’attitudine degli investitori verso le classi di attività di questo paese. Ciò ha generato flussi di capitale in uscita dagli Stati Uniti di una portata tale da essere rilevabile su performance e allocazioni.
A questo punto la domanda è chi saranno i potenziali vincitori di questo fenomeno. Secondo un recente rapporto di Bank of America rivolto ai fund manager, è emerso come il 54% degli intervistati ritenga che i top 10 titoli per performance nei prossimi 5 anni saranno internazionali e non US; inoltre, molti investitori stanno accrescendo la loro esposizione all’euro a scapito del dollaro, rispetto a quella che è stata la media degli ultimi due decenni. Ciò ha portato la nostra moneta ad apprezzarsi di circa il 10% sul USD da inizio anno. Nello stesso arco temporale, le azioni sono cresciute dell’8% in EUR, ma ben del 20% in USD. In conclusione, per rispondere all’interrogativo iniziale, l’Europa sembra avere tutte le carte in regola per essere uno dei vincitori.
Tuttavia, le dimensioni del mercato pubblico e la minore profondità dei suoi beni safe-haven impediscono al Vecchio Continente di assorbire tutte le fuoriuscite dagli Stati Uniti, a vantaggio di quelli privati, che possono offrire una valida alternativa per gli investitori in termini di diversificazione, tanto che anche nell’immobiliare si sono avvertiti gli effetti di questo trend.
Infatti, se l’Europa in generale è un’area che ha beneficiato dell’isolamento dall’America, allo stesso modo lo è il suo mercato real estate se paragonato ad altre regioni. Ciò appare chiaro se si osservano le performance dei REIT che, dopo il Liberation Day di aprile, hanno tutte subito delle flessioni in termini di rendimenti, ma i più gravi li hanno registrati quelli statunitensi (-10%). Da allora, però, tutti sono tornati a crescere e quelli che hanno mostrato i risultati migliori sono stati proprio quelli dei paesi europei più sviluppati (+10%).
A questo punto, però, viene da chiedersi se questo successo degli asset nostrani sarebbe avvenuto anche se a Washington ci fosse stato un presidente diverso.
La risposta di Bnp Paribas Reim a questa domanda è sì.
In particolare, siamo convinti che l’Europa avrebbe guidato la ripresa dell’immobiliare perché già dall’inizio del 2024 stava sovraperformando tutti i maggiori mercati, riuscendo a riadattarsi al nuovo scenario post pandemia e ad avviarsi su un percorso di ripresa prima degli altri. Non è un caso se si sono osservati risultati positivi per cinque trimestri consecutivi sia sul continente, sia nel Regno Unito. Non solo: questi segnali incoraggianti sono stati osservati, anche se in maniera diversa, in tutti i segmenti del mercato. Per esempio, gli uffici hanno avuto una ripresa un po’ più variegata, mentre gli affitti hanno continuato a crescere anche in fasi di repricing, grazie al basso tasso di soluzioni libere. Questo fattore ha permesso agli uffici di mantenere rendimenti positivi; basta pensare che il vacancy rate in Ue è del 9,1%, contro il 20% degli Usa.
In conclusione, in passato il nostro mercato immobiliare è arrivato dietro ad America e Asia, ma oggi, con gli investitori che guardano principalmente alla resilienza e alla diversificazione, l’immobiliare e i mercati privati europei risultano ben posizionati per attrarre nuovi capitali.
di Nicola Franceschini, product development & research manager di Bnp Paribas Reim Italy