L’energia che i raggi solari scaricano sulla terra è pari a 170mila terawatt (10 watt alla dodicesima, direbbe chi mastica la matematica). Tanta? Beh, si! L’Eni calcola che sia 10mila volte superiore all’energia utilizzata a livello globale o pari, ogni anno, a 80mila miliardi di tonnellate di petrolio equivalente. Giustamente si tratta di Eni che prende in considerazione l’unità di misura a sé più familiare.
Basterebbe acchiappare e in qualche modo incanalare la potenza del sole, e neanche tutta, per risolvere qualsiasi problema di approvvigionamento. Mica facile però. I pannelli solari hanno un’efficienza variabile tra il 15 e il 23%. L’energia solare, ovviamente, funziona solamente di giorno, se ci si aggiungono dispersioni, inefficienze si sistema, trasporto dell’energia, stoccagio, ecc, verosimilmente bisognerebbe coprire metà mondo o giù di lì di pannelli fotovoltaici e batterie.
Al di là del fatto che non è detto che vi siano risorse sufficienti per farlo o della semplice constatazione che non è economicamente intelligente affidarsi a una sola fonte, ma la regola generare è: diversificare! Anche dal punto di vista ecologico non sarebbe il massimo. Quando si parla di ecologia si è portati a pensare alla CO2 e al riscaldamento globale, come è pure giusto, visto che si tratta del problema più imminente. Ma al suo fianco ci sono temi di antropizzazione dell’ambiente naturale, di sfruttamento delle risorse, di cambiamento degli ecosistemi, di immissione di inquinanti nell’ambiente.
Eppure la fame di energia cresce a ritmi elevatissimi, complice lo sviluppo di tecnologie, a cominciare dall’Intelligenza artificiale, che ne mangiano a porzioni da trattoria tradizionale.
Negli Usa, proprio per fare fronte a questa esigenza, sta riemergendo l’opzione nucleare. Anche Google, tanto per fare un nome da nulla, investe nello sviluppo della prossima generazione di energia nucleare. La società di Mountain View ha siglato un accordo con Kairos Power, specializzata nella realizzazione di impianti modulari, per sei o sette reattori per una capacità totale di 5.000 MW. L’accordo risponde all’esigenza di Google di avere una fornitura di energia sicura e costante nel tempo, oltre che “ecologica”, per alimentare la potenza di calcolo dei propri data center che macinano dati h24, 7 su 7.
Microsoft sta brigando per farsi riaccendere il rattore 1 della centrale di Three Miles Island, spento dopo che nel 1979 si verificò un incidente che portò alla parziale fusione del nocciolo del reattore 2. Sfiga volle, peraltro, che l’incidente capitò pochi mesi dopo l’uscita nelle sale del film Sindrome cinese, che parlava proprio di un caso del genere; cosa che alimentò non poco la diffidenza verso questa forma di energia.
Ora, non sarebbe il caso che anche in Italia si ricominciasse a parlare di nucleare seriamente e razionalmente? L’atteggiamento del governo italiano è ambiguo: a parole favorevole, nei fatti, giudicando dalle ultime uscite del ministro dell’Ambiente e Sicurezza Energetica, Gilberto Pichetto Fratin, sul deposito unico delle scorie radioattive, assai meno. Ma nulla osta di parlarne seriamente.
E nemmeno la contestazione di chi dice che i tempi sarebbero troppo lunghi e quindi sarebbe inutile dedicare risorse a una tecnolgia che, una volta realizzata, nascerebbe in ritardo, vale poi molto. I tempi tecnici per la realizzazione di un impianto di energia nucleare sono di circa 3,5 / 4 anni. I decenni aggiuntivi sono dovuti a questioni ammnistrativo-burocratiche.
Se ci riescono in Cina a fare una centrale in quattro anni non si capisce perché non ci si dovrebbe riuscire in Italia, il Paese di Enrico Fermi e che ogni anno sforna più ingegneri nucleari di qualsiasi altro Paese europeo.