Efficienza o sufficienza? L’utopia di un futuro non contaminato

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Potremo mai sottrarci al destino distopico che da un secolo prefigura il nostro immaginario?

Si tratterebbe molto probabilmente di cambiare, come sostiene Gianfranco Franz, docente al dipartimento di Economia e Management dell’Università di Ferrara, tutta la nostra organizzazione sociale. Franz fa ricorso proprio all’immaginario cinematografico per mostrare come città e paesaggio sono la risultante di un insieme di modelli organizzativi, stili di vita individuali e collettivi, ideologie.

Da Metropolis di Fritz Lang (1927), che dipinge con incisivo simbolismo e forte carica espressiva il momento della nostra perdita di controllo (o di equilibrio) nella costruzione della città (un film dove non si vede mai né cibo né paesaggio naturale); a Modern Times di Charlie Chaplin (1936), che tratta lo stesso tema dell’alienazione ma in termini comici e più realistici; a Blade Runner di Ridley Scott (1982), anch’esso rappresentativo di un futuro assurdo e alienante, dove la città del potere è una fortezza e il resto una babele di linguaggi, umanità non comunicante, pioggia costante, cibo orientale consumato per strada (ispirato al romanzo del 1968 Do Androids Dream of Electric Sheep? del maestro della fantascienza Philip K. Dick); al primo film ecologista Koyaanisqatsi di Godfrey Reggio, pellicola sperimentale del 1982 il cui titolo è una parola della lingua hopi che significa “vita in tumulto, folle, squilibrata…” ed è un montaggio di immagini che mostrano gli effetti devastanti dell’industrializzazione sulla natura e sugli uomini; fino a Lisbon Story di Wim Wenders e la poetica ricerca della purezza del suono. Una serie di moniti che il linguaggio dell’arte ha espresso con anticipatrice sensibilità.

E sulle loro metafore Franz pone la domanda: “Possiamo tornare a uno stato originario idealizzato?”

Ovviamente no, ma allo stesso tempo non possiamo accettare l’ineluttabilità di quelle schizofreniche immagini (per quanto vi siamo già immersi in tutta la loro materiale realizzazione).

Che fare? Non lo sappiamo, non c’è un tracciato chiaro da seguire, se non interrogarci continuamente attraverso il dialogo tra diverse discipline, cercando possibilità nuove nella convergenza di prospettive e saperi diversi per comporre un quadro complesso e difficile: il tema del locale, della circolarità, delle città dei 15 minuti, della dimensione periurbana come driver di possibili ragionamenti, di una nuova declinazione della smart city, di una nuova temporalità. E ancora: della necessità di superare la logica razionalista cartesiana che ci accompagna da tre secoli e mezzo, di andare oltre l’idea di un progresso lineare, di rallentare e liberarci di parole “contaminanti” come crescita, competizione, velocità, efficienza.

Possiamo chiudere richiamando un rapporto di un anno fa, Decoupling Debunked (Luglio 2019) dell’European Environmental Bureau (EEB), in cui proprio quell’efficienza su cui si basa un altro termine cui facciamo affidamento con speranza – la “green growth”, cioè la possibilità di mantenere crescita economica e impatto ambientale in un rapporto inversamente proporzionale – veniva smentita dai fatti: in realtà, i benefici dell’efficienza sembrano solo relativi, temporanei, localizzati. Ciò pone una difficile alternativa: efficienza (ma a condizione che sia globale, assoluta, permanente e rapida!) o sufficienza, ovvero riduzione di scala della produzione, del commercio, dei consumi?

Siamo di fronte un futuro che richiede un cambio di mentalità generalizzato? È un’utopia?

Scarica qui il position paper.

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