Dagli immobili prime al value-add: come cambia la ricerca del valore nel real estate

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In un contesto di mercati volatili, con inflazione in aumento e asset tradizionali sempre più correlati, riuscire a generare rendimenti svincolati dai mercati tradizionali è particolarmente importante. Il real estate rappresenta da sempre un diversificatore di portafoglio, oltre che un asset in grado di offrire rendimenti elevati e un rischio controllato, a patto di saper individuare le opportunità a maggior valore aggiunto, cogliendo i nuovi trend che caratterizzano il settore immobiliare oggi e cavalcando l’onda verde che sta diventando sempre più travolgente.

Se nell’ultimo decennio investire in immobili “core” (edifici esistenti in siti urbani di prestigio) in Europa ha offerto un rapporto rischio rendimento interessante, ora il vento è cambiato. In parte per l’aumento dei tassi d’interesse, ma soprattutto per alcuni trend secolari, quali tecnologia, cambiamento demografico e sostenibilità, che stanno alterando le sorti del settore immobiliare. Oggi bisogna quindi andare oltre gli investimenti immobiliari tradizionali.

Nel prossimo futuro la scelta che pagherà maggiormente consisterà nell’acquistare immobili problematici, valorizzarli attraverso una ristrutturazione completa e con gestione fortemente attiva e rivenderli.

Per immobili problematici intendiamo complessi mal gestiti, con problemi di locali sfitti o ritardi e gap nella manutenzione. Il venditore potrebbe anche avere problemi a rifinanziare il debito e/o essere obbligato a vendere assets a sconto sul mercato secondario (distressed seller). Come cavalcare questo trend? Attraverso le strategie value-add, il cui obiettivo è trasformare gli asset immobiliari in prodotti Core/Core Plus stabilizzando i flussi di cassa da locazione e aggiungendo valore alla proprietà. Ovviamente l’approccio non è esente da rischi: il buon successo della strategia dipende dalla capacità dell’investitore di affrontare efficacemente e rapidamente le problematiche individuate e di aumentare il valore dell’immobile in tempi stretti. Se l’esecuzione vacilla, esiste il rischio concreto di dover vendere l’asset con un esito complessivamente negativo.

Le ragioni di un cambiamento: il ruolo dell’inflazione

Tradizionalmente, la maggior parte dei rendimenti del settore immobiliare core faceva affidamento sul reddito da locazione: negli anni dell’economia a tasso zero e con inflazione pressoché inesistente, acquistare immobili in zone centrali di città core assicurava flussi di reddito da locazione sempre crescenti. Gli investitori erano dunque disposti a pagare di più e questo ha spinto le valutazioni immobiliari mentre ha ridotto ai minimi storici i tassi di capitalizzazione, ovvero il rendimento che si ritiene accettabile per un investimento immobiliare (che si calcola dividendo il reddito operativo netto annuo dell’immobile per il suo valore di mercato). Tuttavia, con l’aumento dei tassi di interesse e dell’inflazione i tassi di capitalizzazione sono aumentati (tra i 30 e i 100 punti base nel 2022 nel segmento immobiliare europeo prime), facendo così scendere le valutazioni a parità di flusso di reddito. A soffrirne maggiormente potrebbero essere proprio alcune delle proprietà fino ad oggi più richieste, gli immobili in centro. La ragione di questa inversione è da ricercare anche in un altro importante cambiamento in atto nel settore immobiliare: l’inasprimento delle normative ambientali.

L’avanzata dell’onda verde e il green premium

Nel prossimo decennio, il settore immobiliare dovrà finalmente far fronte alle sue responsabilità ambientali. La direttiva europea “Case green” approvata di recente prevede che gli Stati membri riducano il consumo di energia degli edifici residenziali del 16% entro il 2030 e del 20-22% entro il 2035. Un aggiornamento alla Direttiva sulla prestazione energetica degli immobili che stabilisce le modalità per rendere “carbon neutral” il settore immobiliare entro il 2050. Il progetto include anche una proposta di divieto degli impianti di riscaldamento a combustibili fossili a partire dal 2035.

Un’impresa, quest’ultima, titanica considerato che nell’Unione Europea gli edifici sono responsabili del 40% dei consumi energetici totali della regione, del 36% delle sue emissioni di CO2 e di più della metà del suo consumo di elettricità. Se guardiamo all’Italia, questa è caratterizzata da un parco immobiliare che vede l’84,5% degli edifici italiani costruiti prima del 1990 (contro il 65,6% della Francia e il 75,3% della Germania), e da un basso tasso di rinnovamento edilizio, pari allo 0,85% all’anno (contro l’1,7% di Francia e Germania). In generale, i numeri mostrano come tutte le maggiori economie europee presentino un parco immobiliare vetusto.

L’inasprimento delle normative ambientali rappresenta un problema particolarmente serio per gli investitori immobiliari core, che solitamente comprano e detengono gli immobili per lunghi periodi e limitano le ristrutturazioni a modifiche estetiche. Questi ultimi regolamenti maggiormente restrittivi, però, rappresentano anche nuove e interessanti opportunità di investimento. Circa l’85% degli edifici europei attuali sarà ancora in piedi nel 2050 e al momento il tasso di ristrutturazione della regione è pari solo all’1% annuo. Per raggiungere l’obiettivo “net zero” entro il 2050 l’Europa dovrà pertanto effettuare ingenti ristrutturazioni su larga scala.

Opportunità di investimento e strategie value-add

Il tema delle ristrutturazioni è un pilastro chiave delle nostre strategie di real estate value add e core plus, focalizzate in particolar modo sul miglioramento delle credenziali di sostenibilità degli immobili in cui investiamo.

Miglioramento che implica, tra l’altro, installare pompe di calore (in grado sia di riscaldare che di raffrescare), ricorrere solo a energia rinnovabile, utilizzare sensori per ottimizzare il consumo di energia e acqua, provvedere all’isolamento aggiuntivo di pareti e finestre. In questa sfera rientrano anche l’utilizzo di materiali da costruzione sostenibili (come il legno laminato), l’installazione di pannelli fotovoltaici per generare energia rinnovabile o l’impegno a ridurre i rifiuti.

Ad avvalorare la forza di questa strategia sono gli stessi numeri: ad esempio, diverse ricerche condotte da MSCI mostrano come gli immobili ad uso ufficio con un rating di sostenibilità siano venduti a prezzi superiori di un terzo o di un quarto rispetto agli immobili privi di rating.

Quest’ultimi, inoltre, possono godere di canoni di locazione più elevati, perché hanno costi di gestione più contenuti e perché consentono alle aziende che li locano di rispettare i requisiti di sostenibilità. Negli ultimi cinque anni, ad esempio, in Europa il canone di affitto medio per uffici con certificazione green è stato del 21% superiore a quello ottenuto da uffici non certificati. Ancora, considerando il mondo occidentale a livello globale, in media l’occupazione negli edifici con certificazione green risulta superiore del 4,3%, mentre gli affitti sono più alti di circa il 4,6%. Da ultimo, questi edifici sono caratterizzati da costi operativi inferiori e prezzi di vendita più elevati.

Nuovi trend nell’immobiliare, oltre il green

Per concludere, vanno considerati i nuovi trend sociali che si sono consolidati dopo la pandemia e a cui corrispondono nuovi trend immobiliari. Gli uffici devono essere più flessibili, orientati ad avere aree comuni più vaste per permettere l’incontro tra colleghi e non nei giorni di presenza in ufficio. Le principali capitali dell’Europa occidentale dovrebbero continuare a fare bene, così come altre città chiave (quali Birmingham, Manchester, Goteborg o Lione) potrebbero beneficiare di pratiche di lavoro più flessibili grazie alla maggiore convenienza in termini di spese di soggiorno, lavoro e viaggio. Inoltre, l’incremento mai visto prima degli acquisti online ci fa prevedere una crescita costante della domanda di immobili per la logistica. Una ricerca condotta da CBRE suggerisce che per ogni incremento di 1 miliardo di dollari delle vendite di e-commerce sono necessari 116.000 metri quadrati di spazi logistici in più.

Dall’altra parte, però, più shopping online significa meno commercio al dettaglio tradizionale e quindi un cambio d’uso di quelli che un tempo erano punti vendita al dettaglio commerciali in servizi residenziali o di altro tipo. Anche alla luce di questi nuovi trend, ancora in parte in evoluzione, crediamo che la strategia value-add possa offrire ottimi risultati in termini di rapporto rischio/rendimento.

A cura di Giambattista Chiarelli, head of institutional di Pictet asset management

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