Perdere tutto per poi rinascere. Crescere nel benessere economico e piombare all’improvviso in una crisi economica e spirituale che ti porta a combattere contando solo sulle tue forze. E ancora rimanere uniti nelle difficoltà e riemergere con più gioia e amore di prima. In Italia sono tante le storie di chi vive periodi di difficoltà, anche economica, per poi tornare a sorridere senza aver mai mollato o senza essere sprofondati nella tristezza più totale. Nel mezzo, l’aiuto dei professionisti della salute e del benessere mentale, che molte volte sono davvero indispensabili in questi percorsi di lotta contro le crisi di ogni tipo.
Oggi a “I giovani e la casa” racconteremo la storia abitativa e di vita, ancora una volta anonima, di una ragazza di ventiquattro anni da poco laureata in Psicologia, originaria di Biella e residente a Torino, che ha trovato la sua strada proprio nel periodo di difficoltà più profondo della sua esistenza.
Domanda: Cominciamo dalle case. Qual è stata la più importante della tua vita prima di trasferirti a Torino?
Risposta: La casa per me più importante è l’appartamento della mia famiglia a Biella, dove siamo cresciute io e mia sorella con i miei genitori e dove abbiamo vissuto fino a quando avevo 16 anni, circa otto anni fa. Era una casa bellissima, luminosa e spaziosa, e rappresentava il punto di ritrovo ideale per la nostra famiglia e i nostri amici. Ricordo le grandi cene di mio padre con i colleghi dopo lavoro, spesso durante la settimana, le partite di Champions League che guardavamo tutti insieme, e i pomeriggi infiniti con le mie compagne di scuola, a studiare e chiacchierare. Ma soprattutto ricordo i pranzi la domenica con i nonni, materni e paterni assieme, i cugini e gli zii. Mia madre e suo fratello, grande appassionato di cucina, hanno sempre fatto da mangiare in grandi quantità per tutti. Eravamo una famiglia normale, come tante famiglie italiane. I nostri nonni sono tutti e quattro calabresi, quindi ecco forse a tavola eravamo più creativi, ma non credo che la mia vita fino a prima della crisi fosse tanto diversa da quella dei miei coetanei di Biella.
D: Che cos’è la crisi di cui parli?
R: Quando avevo quindici anni, l’azienda di mia madre è fallita. Diciamo che ha fatto alcuni investimenti che si sono rivelati pessimi, si è fidata delle persone sbagliate e ha voluto affrontare da sola tutto il casino che stava nascendo. Forse se avesse parlato in tempo con mio padre, suo fratello o chiunque potesse aiutarla, avremmo potuto evitare tante cose. A un certo punto, ovviamente, è crollata. Ha avuto prima un crollo economico, dovendo chiudere l’azienda, e poi emotivo, entrando in depressione. Non ha lavorato per quasi tre anni, è rimasta a letto immobile un anno e mezzo, e l’intera famiglia ha risentito della situazione. Mio padre si è ritrovato da solo a mantenere me e mia sorella, che aveva 22 anni, e a dover stare con mia mamma per aiutarla a guarire. Venuti a conoscenza di decine di migliaia di euro di debiti, siamo stati costretti a vendere un appartamento che davamo in affitto e a cambiare drasticamente il nostro stile di vita. Non siamo mai stati spendaccioni, però da un giorno all’altro ci siamo ritrovati senza un euro e con un sacco di debiti. È stato uno schock, ma abbiamo tutti reagito bene. Io andavo in Liguria a fare le stagioni in estate, perché ero ancora al Liceo. Mia sorella, che aveva appena iniziato uno stage in un’agenzia di comunicazione con uno stipendio di 800 euro al mese, per far fronte alle spese ha dovuto lavorare ogni sera anche in un ristorante in centro per quasi un anno. Staccava alle 18 in agenzia e alle 19 attaccava al ristorante. Viveva a Roma all’epoca, la sua città del cuore dove aveva appena preso la laurea triennale. È stato un periodo durissimo per lei, ma non si è mai arresa, anche se usciva di casa per andare in agenzia alle 7 di mattina e lavorava al ristorante fino all’una di notte. Era sempre esausta ma non si è mai lamentata. Il sabato e la domenica li usava per dormire fino a tardi e rigenerarsi. I miei hanno perso molti amici in quel periodo, soprattutto mia madre. La gente è proprio sparita. Tanti messaggi nel primo mese e poi non si è più visto e sentito nessuno. Gli amici di mio padre invece sono stati molto presenti e generosi. E per fortuna c’erano i nostri nonni, tutti e quattro, che ci hanno sempre sostenuti, dandoci anche importanti aiuti economici. La nonna materna ha vissuto a casa nostra tutti i primi sei mesi. Mia mamma non parlava, lei non glielo ha fatto mai pesare. Stava lì anche nonna, in silenzio. Anche se è stato difficile, alla fine siamo riusciti a ripartire, senza piangerci addosso e senza mai lamentarci. Guardando indietro, mi rendo conto che siamo stati sia bravi sia fortunati. Mia madre ha recuperato in fretta con una forza incredibile, mio padre le è stato vicino come un vero uomo e non abbiamo mai pensato che quella situazione fosse per sempre. Quindi che cosa abbiamo fatto? L’affitto nella vecchia casa era troppo alto. Ci siamo spostati in un appartamento più piccolo ed economico e siamo rimasti uniti. Mia madre è guarita e ha prima trovato lavoro in una società vicino a casa per poi aprire un’altra attività legata a servizi per aziende. L’imprenditorialità ce l’ha nel sangue. La stimo tantissimo come persona e come professionista. Il modo in cui è rinata mi commuove sempre. Ma il merito è di tutti. Siamo stati una famiglia.
D: Che cosa hai imparato da quello che ti è successo?
R: Che la depressione è uno dei mali dei nostri tempi e che andrebbe affrontata con maggiore attenzione; che tanta gente è brava solo a parlare, perché nella realtà tanti hanno paura ad aprirsi e aiutare il prossimo nel momento del bisogno; che da tutte le difficoltà si può uscire. Direi queste tre cose. La vita è un dono preziosissimo, non va mai sottovalutata o data per scontata. Ci vogliono le crisi per farcelo capire. E poi, grazie a quello che è successo ho conosciuto Anais, la psicologa di mamma, senza la quale mia mamma ma anche noi tutti non saremmo mai riusciti a rinascere come famiglia. Con Anais facevamo anche le terapie collettive, tutti e quattro, con mia sorella che ogni tanto tornava da Roma nei weekend, oppure ci seguiva dal telefono. Mamma andava aiutata a tutti i costi, e anche noi avevamo bisogno di sostenerla e cambiare noi stessi. Ci ha letteralmente regalato decine di ore di terapia, perché aveva preso a cuore la nostra storia e la nostra famiglia. Direi che ci ha salvato la vita. Quindi in quei tre anni difficili, paradossalmente, ho trovato la mia strada, il mio futuro, e questa è la quarta cosa bella di quel periodo. Grazie ad Anais ho capito che sarei diventata una psicologa, proprio come lei. Quando stavamo già vedendo la luce, mi sono iscritta all’Università di Torino e ho iniziato a muovere i primi passi verso la mia carriera lavorativa.
D: E a Torino dove hai vissuto e dove stai vivendo?
R: Quando mi sono trasferita a Torino per studiare Psicologia, sono andata a vivere in un quadrilocale nel centro città. Le cose in famiglia si stavano sistemando, con mamma che aveva ripreso a stare bene e lavorare. All’inizio mi sembrava piccola la casa, ma in realtà avevo tutto. L’appartamento era ben servito, mi piaceva la zona e con i ragazzi andavo d’accordissimo. Eravamo in cinque. Io ero in doppia. Poi c’era un’altra doppia e una singola con bagno. Beata lei! Purtroppo ci siamo dovuti lasciare dopo il primo anno accademico perché tre ragazzi erano riusciti a entrare a Medicina, due a Roma e uno a Milano.
Quindi mi sono trasferita in un secondo appartamento, ma per me è stata un’esperienza poco positiva. Condividevo la stanza con un’altra ragazza, e nell’appartamento c’erano altre due coinquiline. Eravamo in quattro e avevamo un solo bagno, una situazione davvero scomoda. Non riuscivamo a trovare un equilibrio e ci disturbavamo a vicenda. Oltre a questo, eravamo incompatibili come persone. Sono stata in questa sistemazione per quasi due anni. Alla fine non mi è pesato vivere con loro perché ero sempre fuori casa, all’università o in biblioteca. I weekend lavoravo in una birreria in centro per dare una mano alla famiglia e avere qualche centinaia di euro per me. Ora vivo nella mia terza casa torinese. Condivido l’appartamento con altre due ragazze e finalmente ho la mia stanza singola. Non è l’ideale, ma mi accontento fino a quando non potrò permettermi qualcosa di meglio, magari un appartamento-villetta appena fuori Torino. Aspetto di guadagnare un po’ di più. Per adesso sono in tirocinio a circa 700 euro al mese, più qualche rimborso. Mi aiutano i miei e un po’ continuo nella birreria. Non vedo l’ora di avere la mia piena indipendenza.
D: Nel luogo in cui vivi attualmente, come ti trovi?
R: Adesso vivo con due ragazze, ma il rapporto non è dei migliori. Siamo completamente diverse e fatico a tollerare le loro abitudini. Una è iscritta a Giurisprudenza, ma sembra più interessata ai vestiti firmati, ai locali di lusso e ai ragazzi che incontra piuttosto che agli studi. È triste vederla buttare via così il suo tempo e le sue energie. Non studia, non va a lezione e non sta dando esami, non lavora e i suoi genitori la finanziano in tutto. Quando cerco di parlarle di queste cose si arrabbia e mi attacca, dandomi della persona che sfrutta i problemi degli altri per guadagnare soldi, quindi è difficile aiutarla o farla ragionare. Dice che è in grado di badare a se stessa ma sinceramente non mi sembra. L’altra coinquilina ha uno stile di vita completamente opposto, anche se come la prima adora sprecare il suo tempo. È una studentessa di filosofia fuori corso di estrema sinistra, con idee molto radicali. Non studia più da anni, anche se è ancora iscritta all’università, fuma tantissimo, si veste da cani, mangia solo cibo spazzatura e beve un sacco di birra quasi ogni sera nei locali da comunisti. Non so come fa ad essere una bella ragazza e con un fisico così attraente. Non fa un minimo di sport. Ha 29 anni e non è ancora riuscita a finire la triennale. A volte penso che abbia bisogno di una forte scossa per cambiare, ma lei è convinta delle sue scelte e idee. Ho provato a proporle una terapia gratuita con un mio collega tirocinante. Io non lo so, non può far bene uno stile di vita e di pensiero di questo tipo. Non giudico, ma a sto punto le farebbe bene lavorare. Invece preferisce fare discorsi contro la società e il capitalismo, attaccandomi anche lei e dicendomi che la mia professione è nata in Europa alla fine dell’Ottocento per colpa di una società industriale malata e cinica. Vorrei vederla io nei paesi comunisti. Di oggi e di allora. Ma forse ha solo bisogno di lavorare. E’ figlia di medici, tra l’altro. Molto benestanti. Io li ho conosciuti i suoi. Gente molto brava e onesta ma forse un po’ troppo compiaciuta del proprio ambiente e della propria immagine e incapace di vedere certe cose: i classici radical chic. Non si rendono conto che la loro figlia andrebbe aiutata. E non è che la terapia è la soluzione per tutti, ma cavolo bisogna intervenire in qualche modo. I suoi genitori si dicono aperti a tutto, però danno sempre ragione alla loro figlia, la viziano. La ammirano, e la ammiro anche io, perché comunque è molto intelligente. Ci sa fare con le parole e legge molti libri, che cita sempre a proposito e con grande precisione. Tutti libri che però non servono per gli esami che dovrebbe sostenere. Si sta facendo del male. E poi non pulisce mai casa. Sono stata costretta a chiamare una donna delle pulizie una volta a settimana. E la pago sempre io perché figurati, chiederle 20 euro è troppo. Dice che nella vita bisogna condividere, come nel socialismo, ma alla fine è più brava a scroccare che a condividere.
D: Quali sono i tuoi sogni per il futuro lavorativo?
R: Il mio obiettivo è quello di diventare una psicologa a tempo pieno e avere un mio studio. Lo chiamerò “Anais”, un nome bellissimo, in onore della nostra psicologa, che ha salvato mia mamma dalla depressione. Oggi Anais ha quasi 70 anni tra l’altro, e non so quanto possa vivere perché soffre di un tumore durissimo che la sta indebolendo mese dopo mese. Ci chiamiamo tutti i giorni e una volta al mese vado a trovarla e le cucino un sacco di cose. Bisogna sempre ricambiare chi è stato gentile con noi. Mamma va da lei due volte a settimana. Io vorrei lavorare tutta la mia vita con il suo nome che mi protegge, anche quando lei non ci sarà più, tra venti, trenta o quarant’anni. Amo profondamente questa professione e, nonostante il percorso sia lungo e gli stipendi non molto alti, credo che ci sia un grande valore nel lavorare per il benessere degli altri. Attualmente, sono nella fase di tirocinio post laurea ma seguo per conto mio anche due pazienti, il che mi dà molta soddisfazione. Voglio continuare a crescere professionalmente, magari specializzandomi in un settore specifico della psicologia, come il sostegno alle famiglie o alle persone che affrontano situazioni di crisi, simili a quelle che ho vissuto io. Sono stata molto fortunata se penso a come siamo usciti dalle nostre difficoltà e dalla depressione di mamma, e voglio restituire la mia fortuna nell’aiutare tante altre persone.
D: E per il tuo futuro abitativo che cosa vorresti?
R: Per quanto riguarda la mia vita abitativa, il sogno che ho è semplice: una casa tutta mia, magari appena appena fuori Torino, in un contesto tranquillo ma comunque ben connesso e dove ci siano servizi, infrastrutture e tutto il resto. Respirando aria pulita. Non sogno una villa di lusso, ma un luogo dove poter vivere serenamente, senza dover più condividere spazi con persone con cui non mi trovo in sintonia. Da sola o con un uomo che ancora non ho. Credo che avere un ambiente stabile e sereno sia fondamentale per il proprio equilibrio personale, così come per la professione che si svolge. Ma chi lo sa, intanto che non ho ancora la mia indipendenza economica e la mia automobile mi arrangio dando tutto il mio impegno nel lavoro e cerco di essere sempre positiva. Le cose belle arriveranno.
Nota: l’immagine in evidenza è realizzata con l’intelligenza artificiale di Canva