“Stiamo guardando al settore residenziale come a un potenziale segmemto di crescita, soprattutto oggi che la residenza è sempre più percepita come asset class in cui i grandi operatori istituzionali orientano i loro investimenti, più per l’affitto che per la vendita, e quindi ci aspettiamo un cambio di modello: uno dei grandi cambiamenti di modello nel mondo immobiliare”. (Franco Guidi – ad Lombardini22)
Per affrontare il tema residenziale e la sua sfera comunitaria presente e futura i modelli di riferimento cui attingere sono molti e diversi, il nodo è orientare le opzioni progettuali mettendo in relazione le differenti dimensioni coinvolte – end user, developer, contesto socio-politico generale in cui si opera – ed elaborare nuovi processi.
La dicotomia supply-chain/demand-chain è ancora un modello concettuale utile o troppo lineare? Come mettere in circolo le aspettative di tutti gli attori in modo complesso e come rendere le diverse necessità sovrapponibili tra loro?
Ci stiamo immaginando una mappa: su quali dimensioni fondamentali fare leva?
Dimensione ecologica, socio-politica e bisogni degli utenti
Da tempo stiamo ragionando sul fatto che l’idea di casa come investimento patrimoniale è superata. A maggior ragione oggi la cittadinanza cerca qualità non misurabili: tempo, appartenenza, equilibrio tra vita e lavoro, valori esperienziali e un’ecologia generale degli stili di vita. Come sviluppare nuove opportunità per comunità sane e attive? Come pensare spazi comunicanti tra loro e allo stesso tempo protetti?
Intensità delle relazioni
La contrazione degli scambi sociali sta mettendo in rilievo le differenze di energia nelle relazioni in funzione della scala dimensionale. Continueremo a misurarci con grandi contesti urbani che mettono alla prova i sistemi amicali, famigliari, relazionali, ma dovremo pensare a nuove forme di incoraggiamento alle connessioni reali. Come fornire supporto spaziale per lo sviluppo di interazioni intime, vicinanze solidali, prossimità?
Senso di appartenenza
Mai come oggi siamo chiamati a una corresponsabilità planetaria. Non è più la dimensione di quartiere, o l’associazionismo civico, o un gruppo religioso a identificare un sentimento di appartenenza, e qualsiasi argomentazione ‘Nimby’ ha perso di cittadinanza. Stiamo tutti incrociando la stessa cosa, non c’è più il qui e l’altrove, ci sta riuscendo un virus dove la coscienza ambientalista fa ancora fatica. Come le forme dell’abitare faranno i conti con questa inedita dimensione? Farsi porose, permeabili, comunicare quel senso di ‘villaggio globale’ che sappia conciliare cura di sé e solidarietà collettiva, vita privata e coinvolgimento in una comunità senza limiti?
Esperienze di qualità e coinvolgimento
Per quanto lo spazio condiviso può ampliare le opportunità di interazione tra le persone, il coinvolgimento comunitario non può fare affidamento sulla semplice disponibilità di spazi comuni, soprattutto oggi (e forse anche domani) che l’attrattività di quegli spazi è messa a rischio e depotenziata, per circostanze oggettive o freni individuali. Il Social Design dovrebbe allora trovare nuovi modi per incoraggiare scelte volontarie di condivisione delle esperienze, oltre le idee di proprietà e privacy. Come i servizi di sharing possono promuovere interazioni tra gli utenti e sviluppare un ‘engagement’ sociale?
Sharing Economy
Se 10 anni fa non aveva neanche un nome, l’avvento della Sharing Economy e la sua crescita esponenziale hanno fatto prevedere volumi economici di 335 miliardi di dollari entro il 2025. Le conseguenze dell’epidemia e l’emergenza della cosiddetta ‘Shut-in Economy’ implicheranno una revisione dei conti, ma molto probabilmente non saranno al ribasso. L’esplorazione di diversi livelli e modalità di condivisione di valori tangibili e intangibili rimane un enorme campo aperto di possibilità. Come espandere e integrare servizi di sharing, piattaforme, spazio e comunità?
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