In quest’ultima settimana, in particolare sui quotidiani nazionali, è scoppiato l’allarme riguardo a una nuova direttiva europea che, puntando all’efficienza energetica con un occhio al Green deal europeo al 2050 e all’Agenda Onu 2030, imporrebbe la ristrutturazione degli immobili dei cittadini europei pena… Non si sa bene cosa, forse l’esproprio!
La retorica che accompagna le sirene d’allarme è quella, per la verità già tante volte sentita, dell’Europa matrigna che vessa la Cenerentola Italia, e che la umilia e spoglia delle proprie ricchezze per esaltare e favorire le figlie racchie; in questo caso i Paesi continentali. Ma è davvero così? Non proprio, vediamo perché.
La riduzione del consumo e dello spreco di energia riveste un’importanza crescente a livello internazionale. Ciò vale tanto più per l’Unione Europea i cui leader, nel 2007, hanno fissato l’obiettivo di ridurre del 20% il consumo energetico entro il 2020. Nel 2018 è stato poi fissato un nuovo obiettivo inteso a ridurre il consumo di energia di almeno il 32,5% entro il 2030.
Le misure di efficienza energetica sono sempre più riconosciute come uno strumento non soltanto per conseguire un approvvigionamento di energia sostenibile, ridurre le emissioni di gas a effetto serra, migliorare la sicurezza dei rifornimenti e ridurre i costi delle importazioni, ma anche per promuovere la competitività dell’Unione. E quindi il benessere economico dei suoi cittadini. A ben vedere anche i principi ESG seguono la stessa logica, includendo tre tipi di sostenibilità, tra i quali quella economica ha pari dignità di quella ambientale, andando a definire un nuovo paradigma di crescita e sviluppo.
L’efficienza energetica costituisce pertanto una priorità strategica per l’Unione. Tutta l’Unione, non solo per alcuni Paesi a discapito di altri. E in buona parte si tratta anche per l’Italia di un obiettivo centrale sia a breve sia a medio termine.
L’ambiente costruito è responsabile, a seconda delle stime, tra il 35 sino a oltre il 40% dell’emissione di CO2 nell’atmosfera. E il patrimonio edilizio italiano non spicca certo per efficienza e adeguatezza al presente. L’obiettivo del Superbonus era proprio quello di favorire un rinnovamento del residenziale italiano in ottica di riduzione dei consumi. Con efficacia, al di là dei costi, piuttosto discutibile da questo punto di vista: gli interventi approvati come risultava a metà 2022 hanno riguardato poco più dell’1% di abitazioni unifamiliari e condomini.
La nuova direttiva aumenta gli obiettivi comunitari per l’efficienza energetica, compresi quelli per gli edifici. I numerosi incentivi e sussidi (come il Superbonus ora 90%) sono per l’Ue strumenti importanti, ma non risultano sufficienti per centrare i target prefissati. Pertanto la Commissione ha previsto efficientamenti obbligatori a cominciare proprio dagli edifici di classe G, ossia quelli con le prestazioni energetiche peggiori. L’obiettivo primario è quello di sfruttare questo potenziale di decarbonizzazione e alla luce dell’attuale aumento dei prezzi dell’energia si punta a contrastare il rischio di povertà energetica per i ceti economicamente più deboli.
Il punto centrale della proposta prevede l’introduzione di Standard minimi di rendimento energetico (Meps) uniformi in tutta Europa e non solo per i nuovi edifici e le riqualificazioni importanti. In futuro, tutti gli edifici residenziali dovranno raggiungere almeno la classe F entro il 2030, gli edifici pubblici e non residenziali già entro il 2027. Un ulteriore salto alla classe E è poi previsto dopo altri tre anni.
Tuttavia, poiché si vuole armonizzare anche le classi energetiche in tutta Europa, i criteri di classificazione non saranno gli stessi di oggi. Inoltre, dal 2030 gli edifici di nuova costruzione dovranno essere a zero emissioni. Ciò significa che la domanda di energia primaria negli edifici dovrà essere molto ridotta e coperta esclusivamente fonti rinnovabili.