Destinare l’8×1000 dello Stato, alla ricostruzione e al restauro dal patrimonio storico-culturale delle aree colpite dal sisma che dal 24 agosto sta interessando il Centro-Italia. Per almeno 10 anni. E’ questa la richiesta avanzata dal Presidente della Commissione Ambiente della Camera, Ermete Realacci, insieme ai colleghi Chiara Braga ed Enrico Borghi, in un’interrogazione al presidente del Consiglio e ai ministri dell’Economia e dei Beni Culturali e del Turismo.
Realacci, data la drammaticità dei danni subiti dal patrimonio storico-culturale delle aree colpite dal sisma, ha espresso la necessità di un flusso di finanziamenti certo e costante nel tempo. Nell’interrogazione il governo è stato invitato ad assumere iniziative normative per vincolare, per almeno una decina d’anni, il gettito dell’8×1000 destinato allo Stato elusivamente agli interventi di ricostruzione e di restauro dei beni artistici distrutti o danneggiati dal terremoto. In questo modo si potrebbe garantire la tenuta delle comunità e la ripresa delle attività economiche mentre procedono i lavori per la messa in sicurezza delle aree terremotate.
Questa finalità per i fondi dell’8×1000 è prevista dalla legge e viene incontro anche ad alcuni rilievi avanzati dalla Corte dei Conti sull’impiego di queste somme. La Corte ha più volte censurato, infatti, il disinteresse sull’uso e il relativo risultato dei fondi dell’8×1000 destinati alla Stato, che a norma di legge dovrebbero finanziare interventi per le calamità naturali, i beni culturali, l’assistenza ai rifugiati, la fame nel mondo e l’edilizia scolastica, e criticato anche la mancata pubblicità sulla destinazione dei fondi, che potrebbe incrementare il gettito a disposizione.
A volere pensare male si potrebbe ipotizzare che, in realtà, questi fondi facciano la stessa fine che, mutatis mutandis, fanno le imposte pagate come oneri di urbanizzazione dei progetti di sviluppo o costruzioni: cioè che non vadano a finanziare interventi specifici nel caso dell’8×1000, o i lavori di urbanizzazione o miglioramento urbano nei casi degli sviluppi, ma che finiscano nel calderone generale della contabilità pubblica, rispettivamente a livello centrale e a livello locale, alimentando spesa corrente più che spesa in conto capitale, peraltro non sempre con le migliori finalità.