Su che temi si concentreranno i media, i comunicatori, e finanche gli amici al bar purché a rigorosa distanza di almeno un metro l’uno dall’altro? I giornali spesso azzardano previsioni, e quasi mai ci azzeccano! Questa volta, però, siamo certi di fare la previsione corretta: difficile trovare argomenti diversi dal coronavirus e dai sui effetti.
La terza settimana dell’emergenza Covid-19 in Italia si preannuncia come la più drammatica da quel 21 febbraio – sembra passata una vita, ma in realtà sono meno di 20 giorni – quando è stato comunicato il caso del paziente uno a Codogno, in provincia di Lodi.
Il sostanziale blocco della Lombardia e delle 14 province zona rossa deciso il fine settimana appena trascorso ed esteso fino al prossimo 3 aprile è una decisione dolorosa, ma assolutamente necessaria.
D’altro canto isolare 16 milioni di persone dal resto dell’Italia non è facile. Oltre che da un punto di vista pratico logistico non lo è da quello politico. Ma il sistema sanitario nazionale, che sino a questo momento ha garantito adeguata assistenza medica ai malati, è allo stremo e non è detto che, in caso l’onda dei contagi, e soprattutto dei malati gravi che necessitano di ospedalizzazione in terapia intensiva si ingrossi, possa reggere l’urto.
Il contagio del coronavirus sull’economia
Le conseguenze economiche ci saranno. Quanto gravi è al momento impossibile da prevedere. Soprattutto perché, essendo il Covid-19 un virus nuovo per la scienza, non si sa quanto ancora durerà l’epidemia.
In assenza di certezze (siamo pronti a ritrattare tutto qualora esperti medici e virologi ci diano corrette indicazioni) e quindi nell’impossibilità (o incapacità) di fare previsioni, l’unica cosa che possiamo fare è vedere cosa sta succedendo in quei Paesi dove il virus si è diffuso prima che da noi e ipotizzare in questo modo uno scenario di evoluzione del problema.
In Cina i nuovi contagi sono sempre meno numerosi. Negli ultimi giorni erano meno di 50, e oggi sono, per il momento, meno di 40. Altro caso peculiare è rappresentato dal Giappone dove, su una superficie non tanto più grande di quella italiana vive, il doppio della popolazione, circa 120 milioni di persone, con una distribuzione per età simile alla nostra; in altre parole l’età media è piuttosto avanzata. Eppure qui contagiati e morti sono molto limitati. Merito di una politica di contenimento efficace e, soprattutto, seguita da una popolazione dove il senso di comunità e più in generale il senso civico sono più sviluppati che da noi. Guardando dalla finestra di casa (sì, si è deciso che per Re2 si possa lavorare tranquillamente da casa senza grandi problemi per il giornale e, nel nostro piccolo, invitiamo tutti a fare altrettanto e a non muoversi se non per comprovati e urgenti motivi e, anche in questo caso, con tutte le precauzioni necessarie), la città (Milano) appare tutt’altro che immobile.
Sia come sia, e nella speranza che il sentiero tracciato in Cina prosegua nella stessa direzione e possa rappresentare un caso guida, lo scenario migliore dal punto di vista economico è che la crisi indotta dal coronavirus sia, come dicono gli economisti, a V. Ossia che a una rapida contrazione di indici e indicatori economici segua un’altrettanto rapida ripresa che riporti il ciclo al punto di partenza.
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Una politica monetaria accomodante, da molte parti evocata quale soluzione magica ai mali del mondo, sarebbe per lo più inefficace. Lo dice la logica, la crisi in corso è una crisi da offerta – le società sono obbligate alle serrate perché i lavoratori sono in quarantena e quindi non possono produrre e, a catena, chi utilizza le loro produzioni come beni intermedi si trova sulla stessa barca senza vento, e lo dice la realtà: alla decisione della Federal Reserve di settimana scorsa di tagliare i tassi di interesse il mercato non ha fatto un plissé!
Alla crisi di offerta si associa, particolarmente in alcuni settori per lo più dei servizi, una crisi di domanda. I turisti, tanto per citare il caso più eclatante e urgente, non vengono in Italia, o non si muovono in Italia, per la paura di ammalarsi, non per un cambio repentino di gusti e tanto meno per carenza di denaro.
Più utile sarebbe una politica fiscale accomodante e incentivi ben mirati, anche di sostegno al lavoro come la cassa integrazione straordinaria, e temporanei, che siano sufficienti a far passare la nottata, soprattutto a certi settori. Ma un Paese che si impicca con le proprie mani a un debito difficilmente sostenibile e che, contemporaneamente, non ha alcuna flessibilità fiscale a causa di una spesa pubblica eccessiva e poco produttiva – in altre parole sproporzionata sul lato della spesa corrente – non ha molto spazio si manovra.
Affinché la crisi sia davvero a V, che per noi non è solo lo scenario migliore, ma l’unica speranza, sarà necessario da qui in avanti che le regole di contenimento per la mitigazione del contagio siano rispettate. Da tutti. Al contrario le conseguenze economiche sarebbero davvero pesanti e difficili da ipotizzare. Per tutti.