mercoledì, Ottobre 29, 2025

Vedere casa richiede più tempo che costruirla: un nuovo ritmo tra mercato e cantiere

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Negli ultimi due anni il mercato immobiliare italiano ha rallentato. Nonostante i prezzi continuino a mantenere una certa stabilità, si registra un progressivo allungamento dei tempi di vendita. Secondo Immobiliare.it Insights, una casa in Italia resta sul mercato per una media di 5,2 mesi, mentre nei capoluoghi si scende intorno ai 3,5 mesi. Milano resta l’eccezione più dinamica, con tempi medi inferiori ai 90 giorni, ma in molte aree del Paese la soglia dei sei mesi è ormai la norma.

Per chi sviluppa nuovi progetti residenziali, questo dato non è solo statistico. Significa che il tempo del cantiere e il tempo del mercato non procedono più in parallelo. I lavori si concludono, gli immobili vengono consegnati, ma la domanda non risponde con la stessa velocità. Le conseguenze sono concrete: capitale immobilizzato, oneri finanziari che si allungano, difficoltà nel programmare nuovi interventi e una percezione crescente di “mercato fermo”, anche quando la domanda potenziale esiste.

Un disallineamento di tempi e priorità

Il rallentamento non è un’anomalia italiana. In tutta Europa il settore sta sperimentando un disallineamento tra capacità produttiva e tempi di assorbimento del mercato.

Le cause sono molteplici. Da un lato, l’accesso al credito è diventato più selettivo: l’aumento dei tassi e criteri bancari più rigidi hanno ridotto la platea di acquirenti pronti a impegnarsi. Dall’altro, la maggiore incertezza economica e occupazionale ha reso più prudente la domanda, che tende a rimandare l’acquisto in attesa di condizioni migliori.

A questo si aggiunge un cambiamento culturale. La casa non è più un “bene rifugio” da comprare a ogni costo, ma un progetto di vita da costruire con attenzione. Gli acquirenti confrontano, attendono, cercano soluzioni più flessibili. Il risultato è che i costruttori continuano a immettere sul mercato prodotti finiti, ma gli acquirenti reali si muovono più lentamente.

La gestione dell’invenduto: un tema centrale

Per chi lavora nella promozione immobiliare e per gli agenti che ne gestiscono la commercializzazione, il problema dell’invenduto è diventato strutturale. Non si tratta più solo di “ultimi appartamenti rimasti”, ma spesso di interi lotti completati che non trovano collocazione immediata.

Secondo Idealista Data, la percentuale di stock invenduto nei nuovi cantieri italiani supera il 30% nelle aree periferiche dei grandi centri urbani, dove il prezzo medio al metro quadro risulta spesso scollegato dal potere d’acquisto locale. Anche nei capoluoghi più dinamici, il tempo medio di assorbimento si allunga progressivamente trimestre dopo trimestre.

Questa lentezza produce effetti a catena. I costruttori si trovano a gestire flussi di cassa più deboli e rapporti bancari più rigidi, gli agenti immobiliari devono sostenere campagne di vendita più lunghe, e il mercato nel complesso perde elasticità. Di fatto, la lentezza nel vendere una parte dello stock frena la possibilità di aprire nuovi cantieri, generando un circolo vizioso.

L’Europa sperimenta nuovi modelli

In altri Paesi europei, dove la stessa dinamica si è manifestata prima, il settore ha iniziato a rispondere con strumenti contrattuali e finanziari più flessibili.

Nel Regno Unito, ad esempio, si è diffuso il modello della pre-commercialisation with option: l’acquirente può prenotare un’unità versando una caparra minima e fissando un prezzo di acquisto valido per un periodo definito. In Spagna si è affermata la compravendita progressiva, in cui l’acquirente entra gradualmente nella proprietà, versando quote nel tempo e riducendo così l’impatto iniziale del mutuo.

Questi strumenti non risolvono il rallentamento della domanda, ma ne allineano i tempi, offrendo agli sviluppatori una parziale sicurezza di vendita e ai clienti la possibilità di diluire la decisione economica.

L’elemento comune è la flessibilità contrattuale: un modo per ridurre il rischio di stock invenduto e mantenere in movimento il mercato, senza ricorrere a sconti o svalutazioni del prodotto.

Tra prudenza e innovazione: le formule flessibili

Anche in Italia, dove la compravendita tradizionale rimane il modello dominante, si iniziano a esplorare soluzioni alternative che possano rendere più fluido il passaggio tra costruzione e vendita. L’obiettivo è duplice: evitare che gli immobili restino invenduti per mesi e permettere agli acquirenti di pianificare l’acquisto con tempi più sostenibili.

Tra queste soluzioni, il Rent-to-Own (affitto con riscatto) rappresenta una formula interessante, già sperimentata con successo in altri mercati. Permette all’acquirente di entrare nell’immobile pagando un canone che include una quota destinata a costruire l’anticipo per l’acquisto futuro, e al costruttore di ridurre lo stock e generare liquidità.

In Italia stanno nascendo esperienze che cercano di adattare questo modello anche ai cantieri in fase di ultimazione, digitalizzando i processi e garantendo maggiore trasparenza nella gestione. Realtà come Ring33, attive nel segmento della vendita progressiva e del rent-to-own, si inseriscono in questa direzione: non come soluzione unica, ma come esempio di come innovazione e flessibilità possano coesistere con la solidità del mercato immobiliare tradizionale.

Conclusione

Il rallentamento del mercato residenziale non è un passaggio temporaneo, ma un cambio di ritmo strutturale. La costruzione e la vendita non viaggiano più sullo stesso tempo, e questo richiede nuove strategie operative. Per agenti e sviluppatori, la sfida dei prossimi mesi sarà quella di gestire l’invenduto in modo proattivo, integrando modelli flessibili che riducano i tempi di assorbimento e mantengano in equilibrio la redditività dei progetti. Il Rent-to-Own è solo una delle possibili strade, ma è quella che meglio interpreta il concetto chiave di questa nuova fase: non forzare il mercato, ma accompagnarlo nel suo tempo.

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