La presenza di minori o disabili in un’abitazione occupata abusivamente non può evitare lo sgombero in caso di sfratto. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con una sentenza destinata a marcare un punto fermo nel dibattito sulle occupazioni abusive e gli sfratti, rafforzando i diritti dei proprietari e chiarendo i confini di azione delle amministrazioni pubbliche. In particolare la decisione stabilisce che la presenza di un minore o di persone affette da disabilità non impedisce l’esecuzione di un provvedimento di sfratto.
La pronuncia della Cassazione nasce da una vicenda relativa a un capannone di circa 700 metri quadrati a Firenze, occupato abusivamente da una trentina di persone a partire dal novembre 2013. Nonostante le pronunce giudiziarie che imponevano la liberazione dell’immobile, l’esecuzione dello sgombero è stata rinviata più volte per anni. I rinvii erano motivati dall’opposizione degli occupanti e, in particolare, dalla presenza di minori e persone con disabilità all’interno della struttura. La proprietaria ha dovuto attendere cinque anni per rientrare in possesso del suo immobile.
Solo nell’aprile del 2018, gli occupanti hanno acconsentito a lasciare l’immobile in seguito all’intervento del Comune, che ha messo a disposizione altri alloggi.
La Corte Suprema ha inoltre ribadito la necessità di “riaffermare la legalità violata”. I giudici della Cassazione hanno infatti chiarito che, sebbene sia opportuno tenere conto della “protezione dei soggetti deboli coinvolti nell’occupazione”, ciò non può precludere l’esecuzione di un provvedimento di sgombero. La sentenza evidenzia inoltre che le pubbliche amministrazioni “sono tenute a eseguirlo in tempi ragionevoli” e che agiscono in modo illecito se “ardisce sindacare l’opportunità di dare esecuzione al provvedimento”.
Il ritardo nell’esecuzione dello sfratto ha generato una “notevole perdita economica” per la proprietaria, che intendeva ristrutturare l’immobile e affittarlo. Per questo motivo, il Tribunale di Firenze ha condannato i ministeri competenti al pagamento di un risarcimento, inizialmente stabilito in 238.000 euro e successivamente ridotto a 183.000 euro.
Questo indennizzo, a carico della pubblica amministrazione, sottolinea le conseguenze finanziarie derivanti da una condotta non conforme ai principi di legalità e tempestività.
Per il settore immobiliare, questa sentenza può avere un impatto nella valutazione del rischio legato alle occupazioni abusive. La maggiore chiarezza sulla responsabilità dello Stato e la riaffermazione dei diritti di proprietà potrebbero tradursi in una maggiore tutela per gli investimenti privati, riducendo l’incertezza e le perdite economiche associate a prolungate occupazioni.
La Cassazione ha infine chiarito un principio fondamentale: il proprietario di un immobile non può essere onerato delle “problematiche sociali, sicuramente gravi e delicate, connesse con l’emergenza abitativa”. La soluzione a tali questioni è affidata allo Stato, “a cui i cittadini contribuiscono a livello di tassazione e sistema fiscale”. Questo principio demarca chiaramente le responsabilità tra il diritto di proprietà privata e le politiche sociali, ponendo in capo allo Stato l’onere di gestire l’emergenza abitativa senza far gravare tale compito sui singoli proprietari.