I dazi al 30% voluti dall’amministrazione Trump non sono uno scherzo, nemmeno per l’immobiliare che, sebbene solo parzialmente subirà effetti diretti, per lo più dovuti a un probabile rafforzamento dell’euro sul dollaro e quindi alla capacità di spesa dei turisti e dei ricconi Usa in cerca della villa di lusso sui laghi o sui poggi, potrebbero subirne di indiretti, derivanti da un aumento dell’incertezza dei mercati finanziari e dall’incremento del costo di molte materie prime.
Che fare quindi per reagire nel modo migliore alla mossa del presidente Usa?
La sbandierata affinità tra il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, e Donald Trump non ha messo l’Italia al riparo. Chi pensava il contrario è stato quantomeno ingenuo. La questione, peraltro, è essenzialmente europea; non solo perché facciamo parte di un mercato unico che condivide regole e politica del commercio internazionale, ma anche perché, date le fortissime e numerose interconnessioni produttive e commerciali tra i Paesi Ue, cercare di farsi lo sgambetto l’un l’altro per vantaggi di piccolo cabotaggio sarebbe più dannoso che inutile.
Dal punto di vista economico la cosa più razionale da fare sarebbe: nulla! Non reagire alle tariffe doganali con contro dazi. Questi, infatti, non vengono pagati dagli esportatori, ma bensì da chi importa che, a sua volta, riversa i costi aggiuntivi sui consumatori finali; i consumatori finali del Paese che ha imposto i dazi.
L’idea che grazie ai dazi verrebbe però incentivata la produzione interna è semplicemente sbagliata. Non solo perché i mercati di approvvigionamento e quelli di produzione dei semilavorati sono sparsi per i quattro angoli del mondo (consiglio di vedere questo arcinoto video di Milton Friedman che spiega come funziona l’economia prendendo come esempio una matita) e perché la catena di produzione del valore è così lunga da avvolgere più volte l’Equatore, ma soprattutto perché i vantaggi produttivi comparati, per esempio il costo del lavoro, sono praticamente impossibili da annullare, soprattutto per i Paesi economicamente più avanzati.
Il problema, però, è anche, se non principalmente, politico. E, obtorto collo, bisogna auspicare che la politica riprenda il sopravvento sull’economia e offra una risposta forte, coerente, adeguata e condivisa a livello europeo.
La prima strada da percorrere potrebbe essere quella di escludere le società di servizi Usa da gare pubbliche (un’esclusione tout court sarebbe illegittima, ma potrebbero essere applicate forme di trattamento differenziato a causa dell’assenza di accordi di reciprocità). Se infatti l’Ue, con Germania e Italia in testa, gode di un forte surplus commerciale nei confronti degli stati Uniti è altrettandto vero che, sul fronte dei servizi, i ruoli si ribaltano. Pan per focaccia: perché noi europei non dovremmo desiderare il riequilibrio della “bilancia commerciale” del settore servizi.
Ci sarebbero costi per i consumatori europei? Probabilmente si, ma di certo inferiori rispetto a quelli generabili da contro dazi. E poi, vista la volatilità di dichiarazioni e decisioni di Trump, non si può escludere che per riportarlo a più miti consigli possa bastare la minaccia.
La seconda passa per l’apertura del mercato europeo a nuovi partner commerciali, sostitutivi di quello Usa, buttando un occhio verso Cina, India, Messico, Canada e così via. In corso di discussione, o a discussione terminata e in attesa di ratifica, ci sono malcontati almeno 11 accordi di libero scambio che coinvolgono l’Ue. Come si è diversificato per l’approvvigionamento del gas dopo l’invasione russa dell’Ucraina, si dovrebbero diversificare i mercati di sbocco dopo la chuisura degli Usa verso l’Ue e il mondo.
A tal proposito, cosa aspetta il governo Meloni a ratificare il Ceta liberalizzando gli scambi con il Canada? Non che i governi precedenti siano stati molto più aperti, ma siamo sicuri che la difesa a oltranza di allevatori, agricoltori e operatori della filiera agroalimentare italiana, che di certo non è a difesa degli interessi dei consumatori, lo sia ancora dei loro dopo la calata dei dazi di Trump?