Le criptovalute, l’intelligenza artificiale e i data center sono fenomeni dirompenti che hanno travolto tutti i livelli dell’economia mondiale, dagli investitori da salotto ai grandi fondi di investimento, sempre più attratti dalle infrastrutture che sostengono la corsa alla digitalizzazione.
Nel settore real estate, questa attività febbrile si è trasformata in uno tsunami di progetti in tutta Europa che, come le quotazioni del Bitcoin, fanno a gara a raggiungere limiti sempre nuovi di espansione.
Ma è tutto oro digitale quello che luccica (e che assorbe terawatt di energia elettrica)?
Il mercato e le proiezioni di crescita sono molto positive, ma forse alcuni segnali di maturità e flessione iniziano a profilarsi all’orizzonte. Vediamo lo status quo del settore data center nel Regno Unito e quali suggestioni possiamo ricavare per nuovi progetti nel futuro.
All systems go
Se si volesse scegliere una sola asset class per rappresentare la nuova era dell’immobiliare infrastrutturale, i data center sarebbero in pole position.
Nel Regno Unito il mercato è guidato da Londra, che da sola rappresenta circa l’80% del volume nazionale. Secondo Cbre, il 2025 potrebbe essere l’anno dei record: 110 MW di take-up e 158 MW di nuova offerta attesa solo per la capitale. Anche se il primo trimestre è stato più debole delle attese, le proiezioni per la seconda metà dell’anno sono solide.
La richiesta di spazi rimane sostenuta, soprattutto dai grandi hyperscaler – come Amazon, Microsoft, Google e AWS – che puntano a consolidare la loro capacità in aree strategiche ad alta connettività.
Le difficoltà non mancano – costi di costruzione in aumento, tempi di consegna più lunghi, scarsità di suolo idoneo – ma la domanda non si è fermata. Al contrario, il modello di crescita prevede oggi un mix tra nuovi sviluppi e accordi di pre-letting, spesso su misura per singoli tenant di fascia alta.
Per un investitore che guarda al mercato londinese, è utile tenere a mente alcune coordinate:
• Dove investire? Le aree tradizionali – Slough, Stockley Park, Hayes – restano dominanti, ma zone come Havering, Waltham Cross, Didcot e North Weald stanno emergendo come nuovi poli grazie a disponibilità di suolo, accesso alla rete e politiche favorevoli.
• Quali sono i formati più richiesti? Il focus resta sui campus da oltre 50 MW, ma cresce l’interesse per strutture modulari (prefabbricate, scalabili), soprattutto per AI e high-performance computing.
• Quali rendimenti aspettarsi? Il settore ha offerto storicamente rendimenti netti annui tra il 6% e l’8%, con tassi di occupancy stabili e contratti di lungo termine. Le previsioni di capital appreciation restano positive: +10% medio stimato da Green Street nel 2025.
Non va dimenticato che i data center beneficiano di una dinamica unica nel real estate: il rapporto potenza/metro quadro.
L’aumento delle densità energetiche per carichi AI consente una forte monetizzazione dello spazio, e le locazioni si basano su accordi più simili a quelli dell’industria energetica che a quelli degli uffici. Il valore si sposta dalla superficie fisica alla capacità elettrica e di raffreddamento installabile.
Ecco perché investire in data center non significa (più) solo acquistare o costruire immobili: significa diventare partner infrastrutturali di aziende tech con esigenze mission-critical.
Politica e urbanistica a braccetto
Se il mercato è trainato dalla domanda, è il fattore regolatorio a decidere chi riesce davvero a costruire. In questo senso, il cambio di governo nel Regno Unito a metà 2024 ha avuto un impatto netto.
Il partito Laburista ha subito designato i data center come infrastrutture critiche nazionali, sbloccando iter autorizzativi e rendendo più semplice l’accesso a fondi pubblici e supporto emergenziale. Più recentemente, ha annunciato un AI Opportunities Action Plan con tre direttrici: attrarre investimenti, velocizzare i permessi e migliorare l’accesso alla rete elettrica.
Gli investitori sono chiamati a prendere confidenza con tre strumenti fondamentali:
• AI Growth Zones: zone a burocrazia semplificata, con priorità d’accesso a energia e broadband. La prima è stata attivata a Culham, ma altre aree sono in pipeline. Sono ideali per progetti greenfield ambiziosi.
• Revisione del National Planning Policy Framework (dicembre 2024): ora i data center sono inclusi tra i Nationally Significant Infrastructure Projects, e i consigli locali sono tenuti a mappare le opportunità per questi sviluppi. È un cambio epocale, che consente bypass parziali nei processi di planning.
• Supporto esplicito del governo nazionale: esempi concreti includono l’approvazione “dall’alto” del campus da 140MW a Iver, bloccato localmente per vincoli paesaggistici, e il ritiro del divieto sugli impianti eolici onshore per aumentare la produzione di energia rinnovabile.
Ma attenzione: la pratica urbanistica resta ostica, soprattutto nel Sud-Est inglese.
Un’indagine Onnec ha mostrato che 85 delle 88 domande presentate sono state approvate, ma solo dopo lunghi iter e approfonditi processi di consultazione. Serve un dialogo con le autorità locali, comunicazione con le comunità (spesso scettiche) e una buona consulenza tecnica.
Per chi investe, questo si traduce in:
• Lead time lunghi (18-24 mesi) anche per siti ben localizzati.
• Necessità di pre-deal energetici, spesso con investimenti in sottostazioni e grid upgrades (fino a £100 milioni nei casi più grandi).
• Partnership pubblico-private per mostrare impatto positivo su occupazione, ambiente, servizi locali (attraverso oneri di urbanizzazione e Community Benefit Contributions).
In altre parole: chi sa muoversi nel sistema inglese può accedere a una pipeline infrastrutturale con barriere all’entrata molto alte – un vantaggio competitivo sostanziale.
Nuove soluzioni per nuovi problemi
Proprio queste barriere, assieme all’hype sul settore, possono creare trappole per nuovi investitori.
Il primo ostacolo è il più noto: l’approvvigionamento energetico. L’alimentazione di data center AI-rich può superare i 100 MW per campus, con punte fino a 300 MW. Ma le sottostazioni inglesi sono al limite.
Per risolvere il nodo, alcuni operatori stanno investendo in:
• Battery storage locali, per gestire i picchi di consumo.
• SMR – Small Modular Reactors, una frontiera promettente ma ancora in fase pilota, con possibili impieghi su scala entro il 2030.
• Power Purchase Agreements (PPA) verdi, spesso condivisi tra operatori colocation per ottimizzare i costi.
Il secondo rischio è l’esplosione dei costi e dei requisiti tecnici. Il passaggio da cooling ad aria a sistemi liquidi o ad immersione richiede miglioramenti strutturali, nuovi layout, e una supply chain specialistica (oggi già sotto stress). Solo il raffreddamento a immersione può arrivare a pesare 4 tonnellate per rack, con impatti su fondazioni, ventilazione, acustica e manutenzione.
A tutto questo si aggiunge il tema ESG. I tenant premium chiedono parametri minimi su efficienza energetica (PUE sotto 1.3), uso responsabile dell’acqua (WUE), compensazioni carboniche, supply chain trasparente. Per gli sviluppatori, ciò significa integrare questi elementi fin dalla progettazione, con conseguente aumento dei costi e della complessità.
Terzo nodo: mercato maturo e competitivo. Londra è parte del circuito FLAPD (Frankfurt, London, Amsterdam, Paris, Dublin), dove gli spazi si stanno esaurendo. Per emergere, molti operatori stanno esplorando strategie alternative, come ad esempio:
• Soluzioni ibride: edge + hyperscale, campus + moduli, leasing + sviluppo.
• Approccio verticale: offrire anche energia, raffreddamento, connettività, sicurezza. Gli hyperscaler chiedono pacchetti chiavi in mano.
• Tecnologia proprietaria: capacità di adattare rapidamente i layout a nuovi chip, nuovi carichi, nuove normative.
Infine, attenzione a una potenziale bolla. Alcuni analisti avvertono di una sovra-offerta futura, con troppe pipeline simultanee. M&A, consolidamenti e riposizionamenti saranno inevitabili, e solo chi ha asset “future-proof” potrà rivendere o rifinanziare a buoni valori.
Per chi vuole entrare oggi, la parola chiave è specializzazione. Chi punta su posizionamenti generici rischia di entrare troppo tardi. Chi offre soluzioni altamente customizzate – o trova una nicchia ben servita – può invece posizionarsi per acquisizioni future o contratti corporate pluriennali.
I data center non sono più una nicchia tecnologica. Sono il motore silenzioso della nuova economia digitale, ma anche un asset immobiliare che richiede competenze, visione e capacità di navigare tra le complessità normative, ambientali e operative.
Il Regno Unito è un mercato maturo, ma tutt’altro che saturo. Opportunità ce ne sono, per chi sa dove guardare e ha il capitale (oltre alla pazienza) per pianificare oggi il digitale di domani.
Perché, come insegna l’AI, la potenza è nulla senza la capacità di calcolo.
di Lorenzo Pandolfi – Logic Planning