Ma per diventare l’hub dei data center serve energia a basso costo

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L’Italia punta a diventare l’hub europeo dei data center! La notizia è dello scorso agosto; periodo dell’anno, quello del solleone, in cui l’infosfera, per lo meno lo spicchio italiano, non pullula di novità, per cui si tende a raccattare un po’ tutto quello che c’è, senza farsi troppi problemi, pur di completare la pagina.

Proprio in quei giorni, però, Microsoft aveva appena annunciato l’intenzione di investire 4,3 miliardi di euro in Italia in un paio di anni allo scopo di espandere la sua infrastruttura di data center hyperscale cloud e di intelligenza artificiale. Una palla colta al balzo dal governo, vista anche la dimensione della torta stimata dal Politecnico di Milano in 10 miliardi di investimenti nel biennio 25-26, per annunciare impegni e obiettivi del Paese in quella direzione.

L’Italia, sebbene negli ultimi tempi sembri soffrire di una qualche lieve forma di allergia all’innovazione tecnologica, resta pur sempre l’ottavo Paese al mondo per Pil, secondo le stime del Fondo monetario internazionale, e quindi un mercato ricco che si fonda su di un sistema economico evoluto, che necessita di potenze di calcolo crescenti. Ovvio che i grandi player del settore vengano a impiantare centri di elaborazione dati. Ma da qui a diventare la calamita degli investimenti continentali in data center c’è di mezzo il costo dell’energia.

Queste strutture, indispensabili per l’AI, sono sono voraci di energia. E siccome lavorano un botto “sudano” anche tanto e necessitano di sistemi di raffreddamento adeguati, che necessitano di altra energia (gli esperti stimano che tra il 30 e il 50% del consumo totale vada in condizionatori). Non è un caso che lo sviluppo di tali sistemi sia indirizzato verso un minor consumo generale e nel trovare modalità per mantenere la temperatura a livello adeguato a costi contenuti. E non è un caso nemmeno il fatto che proprio Microsoft e Google e tutte le altre big tech stiano brigando negli Usa per avere le proprie centrali nucleari private e dedicate.

Secondo l’Eurostat gli italiani nel 2023 hanno pagato la bolletta dell’elettricità il 23% in più rispetto alla media europea. Certo si tratta di prezzi al consumo, ma anche all’ingrosso le cose non vanno meglio. I dati del Gme evidenzia che il prezzo all’ingrosso sul mercato elettrico italiano è generalmente più alto delle altre borse europee, ma con lo scoppio della crisi energetica si è impennato lo spread di prezzo pagato sul mercato italiano rispetto alla media europea, passando dal 16,3% del 2021 al 44,3% del 2024. Su tale situazione influisce l’elevato uso del gas nel mix di generazione elettrica: l’elaborazione dei dati dell’Agenzia internazionale dell’energia evidenzia che nel 2023 l’Italia ha prodotto il 46% dell’energia elettrica utilizzando il gas, a fronte del 22,5% della Spagna, del 17,1% della Germania e del 5,9% della Francia. Francia dove, sempre lo scorso agosto, il costo di un MWh era di 13 euro, contro i 136 dell’Italia.

Merito del nucleare? In buona parte si, anche se non solo direttamente: la Francia, per esempio, si è evitata di superincentivare pale eoliche e pannelli solari, tutti costi che finiscono in bolletta. Intanto anche in Italia si stanno facendo passi avanti sull’atomo. Il ministro Gilberto Pichetto Fratin ha annunciato che Testo unico per il nucleare e il Programma nazionale saranno pronti per la fine del 2027. Bene, tenendo però presente che a fine 2027 il mandato del governo in carica sarà già decaduto e ne sarà entrato in carica uno nuovo, nelle cui mani passerà la patata bollente.

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